A Bergamo i morti tra marzo e aprile sono aumentati del 200 per cento: il rapporto Inps
Dal confronto con la media dei decessi dal 2015 al 2019, al Nord si nota un aumento della mortalità dell'84 per cento, al Centro dell'11 per cento e al Sud del 5 per cento
Tra marzo e aprile la provincia di Bergamo (ma anche quelle di Brescia, Cremona, Lodi e Piacenza) presenta una percentuale di decessi superiore rispetto agli anni precedenti del 200 per cento. Nel nord-ovest dell’Italia si rileva un aumento della mortalità superiore al cinquanta per cento. La triste fotografia viene riportata dall’Inps nel report Analisi della mortalità nel periodo di epidemia da Covid-19. In soli due mesi i decessi in Italia sono aumentati del 43 per cento. Se si scinde questo dato su tre macro-aree, si ottengono i seguenti incrementi: +84 per cento al Nord, +11 per cento al Centro e +5 per cento al Sud.
La rilevazione dell’effettivo numero di morti a causa del Coronavirus è stato uno dei temi più dibattuti nel corso dell’epidemia; molti epidemiologi evidenziano infatti che è plausibile che il numero delle vittime sia sottostimato, visto che non tutti i decessi vengono testati con un tampone. Per evidenziare i possibili effetti della pandemia sulla mortalità l’Inps ha condotto l’analisi due archi temporali: il primo dal 1 gennaio al 28 febbraio, il secondo dal 1 marzo al 30 aprile, basandosi sui dati aggiornati al 30 aprile che arrivano regolarmente all’Istituto
Nello specifico, sono stati confrontati i decessi avvenuti con quelli “attesi” nello stesso arco temporale, verificando eventuali picchi e scostamenti ritenuti eccessivi. Come si legge nel documento, per determinare la mortalità attesa e tenere conto delle diverse variabili (differenze tra i diversi mesi dell’anno e delle aree geografiche del Paese) «si è fatto riferimento ad una baseline determinata come media dei decessi giornalieri avvenuti negli anni 2015-2019 ponderata con la popolazione residente».
Periodo dal 1 gennaio al 28 febbraio 2020
Secondo l’analisi dell’Inps si riscontra una «situazione che possiamo definire di normalità». I primi mesi dell’anno sono stati interessati dall’epidemia influenzale e i dati raccolti dall’Istituto evidenziano come nei primi due mesi dell’anno il numero medio dei decessi giornalieri in Italia (in totale 1940) sia inferiore alla media giornaliera annua della baseline (pari a 2112). «Sulla base delle evidenze raccolte al 28 febbraio, il 2020 si avviava, quindi, ad essere un anno con una mortalità inferiore a quella attesa», conclude l’Inps.
Periodo dal 1 marzo al 30 aprile 2020
Venerdì 21 febbraio 2020 si scopre il primo caso di contagio da Covid-19 a Codogno, nel lodigiano, e contestualmente emergono vengono segnalati i primi decessi dovuti al virus. «E’ importante ribadire – sottolinea il documento - che l’andamento dei decessi nel periodo considerato è stato condizionato sia dall’epidemia che dalle conseguenze del lockdown (ad esempio la riduzione delle vittime della strada dovuto al blocco degli spostamenti ndr.)
Dal confronto con il periodo precedente emerge chiaramente un’inversione di tendenza. «L’inversione, con diversa intensità, riguarda tutto il territorio nazionale ma soprattutto il nord Italia, dove si ha quasi un raddoppio del numero dei morti giornalieri»: nel primo periodo, infatti, il numero medio dei decessi quotidiane nel nord Italia era di 899, ora di 1527. Inoltre, la mortalità nelle persone anziane (a partire dai 70 anni) è aumentata di oltre il 90 per cento al Nord.
Il rapporto evidenzia che le province più colpite sia dall’epidemia sia dall’aumento della mortalità sono Bergamo, Brescia, Cremona, Lodi e Piacenza. Leggendo il testo, non può non balzare all’occhio una frase che fa riflettere in merito a quello che è stato definito da tutte le autorità regionali lombarde un virtuoso modello della gestione dell’epidemia: «Interessante è il caso del Veneto che, nonostante abbia avuto a febbraio un focolaio di epidemia da Covid-19 come in Lombardia, ha saputo contenere la propagazione grazie ad un approccio sanitario diverso rispetto a quello lombardo».
Mortalità rilevata e mortalità dichiarata da Covid-19
Nel merito l’Inps rileva come «il periodo dal 1 gennaio al 28 febbraio 2020 registra un numero di decessi inferiore di 10148 rispetto ai 124662 attesi dalla baseline. Il periodo dal 1 marzo al 30 aprile 2020 registra un aumento di 46909 decessi rispetto ai 109520 attesi. Il numero di morti dichiarate come Covid-19 nello stesso periodo sono state di 27938. A questo punto ci si può chiedere quali sono i motivi di un ulteriore aumento di decessi pari a 18971?».
A questa domanda l’Istituto risponde che «tenuto conto che il numero di decessi è piuttosto stabile nel tempo, con le dovute cautele, possiamo attribuire una gran parte dei maggiori decessi avvenuti negli ultimi due mesi, rispetto a quelli della baseline riferita allo stesso periodo, all’epidemia in atto. La distribuzione territoriale dei decessi strettamente correlata alla propagazione dell’epidemia e la maggiore mortalità registrata degli uomini rispetto alle donne è coerente con l’ipotesi che la sovra-mortalità sia dovuta a un fattore esterno, in assenza del quale una eventuale crescita di decessi dovrebbe registrare delle dimensioni indipendenti sia dal territorio che dal sesso».