gli effetti dell'epidemia

A Bergamo la natalità va a picco e si stimano circa mille nuovi nati in meno

Nel 2018 in provincia nascevano 8,5 bambini ogni mille abitanti. Ora, a fronte dell'incertezza economica e occupazionale, la ricaduta neonatale è maggiore rispetto a quella nazionale. La Cisl: «Serve un patto per la famiglia»

A Bergamo la natalità va a picco e si stimano circa mille nuovi nati in meno
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L’epidemia rischia di avere pesanti ripercussioni non soltanto sul piano economico, ma anche su quello della natalità. Nel 2018 in provincia nascevano 8,5 bambini ogni mille abitanti (il livello bergamasco era quello più alto della Lombardia); ora, nell’era post-Covid, Bergamo rischia di perdere importanti pezzi di popolazione.

«Le giovani coppie si sono trovate immerse in una storia di angoscia, paura e precarietà – sottolinea Mario Gatti, segretario della Cisl di Bergamo -. Questo non giova nella scelta di avere un figlio. E’ necessario combattere lo stato di incertezza psicologico. La nostra natalità, rispetto a altri territori, è una delle più basse, sia a livello storico che assoluto. Ma io temo quel che accadrà con gli effetti economici della crisi: dobbiamo lavorare per creare condizioni che consentano a chi vuole avere figli di non incontrare ostacoli, sostenendo, insieme al lavoro, ogni misura che ridoni sicurezza e fiducia nell'avvenire. Consentire una conciliazione maternità-lavoro veramente realizzata, favorire i servizi di cura dell’infanzia. In Italia esiste un problema culturale: l’idea che i figli siano fatti tuoi e non rappresentino, invece, una ricchezza collettiva».

Una proiezione dell’Istat segnala che «i 428 mila nuovi nati in Italia che si erano ipotizzati per il 2020 alle condizioni pre-Covid-19, dovrebbero scendere a circa 426 mila nel bilancio finale del corrente anno, riducendosi a 396 mila, nel caso più sfavorevole, in quello del 2021». Inoltre, a preoccupare sono anche i dati riguardanti l’aspettativa di vita nella Bergamasca: una ricerca di Lavoce.info stima una riduzione di 3,6 anni per gli uomini e di 2,5 anni per le donne rispetto alla media del 2015-2017, attestandosi sui livelli registrati 15 anni fa.

In questo quadro la Bergamasca potrebbe perdere in due anni circa 1000 nuovi nati, condizione che, legata al consistente abbassamento dell’età media, condizionerebbe in maniera considerevole la demografia provinciale. L’Isitat somma i risultati dello shock occupazionale a quelli derivanti dall’incertezza e dalla paura. In un territorio che nel giro dei due mesi peggiori per contagi e morti ha perso circa 6000 posti di lavoro (tra l’altro i posti più giovani, essendo quelli a tempo determinato, stagionali e in generale a chiamata), la ricaduta neonatale andrà quindi stimata in una percentuale ben superiore a quella nazionale: a seconda delle varianti nel 2020 e nel 2021 sarà compresa tra un range del -1,6 per cento al -2,1 per cento. Perciò, proseguendo il trend negativo in atto da diversi anni, l’ipotesi è che i nati per la fine di quest’anno potrebbero attestarsi appena sopra quota 8000 (dalle 8546 nascite del 2019) e scendere a circa 7500 nel 2021.

Il tutto a patto che il dato della disoccupazione non impazzisca come prevedono altre proiezioni, soprattutto con un eventuale seconda ondata epidemica pervista da alcuni esperti in autunno. «Il sindacato ha una responsabilità particolare in questi aspetti – aggiunge Gatti -. Attraverso la contrattazione aziendale e quella territoriale può apportare cambiamenti culturali al lavoro e alla conciliazione tra attività e famiglia, dando forza e spessore alle proposte che spesso nascono dal territorio e dalle sue diverse realtà».

«A tal proposito – conclude il segretario -, proponiamo a Comuni, Ambiti, Ats, organizzazioni datoriali, Diocesi e Università la stipula di un “Patto per la Famiglia”, da cui nascano linee programmatiche per interventi misurati sui bisogni delle famiglie, in parte anche modulate sul “Family Act” che il Governo sta mettendo a punto. Dallo sviluppo dello smart-working, all’ampliamento dei congedi e dei permessi familiari, alla flessibilità degli orari, all’introduzione di servizi e figure come la baby-sitter aziendale o la banca delle ferie solidali. Oppure, fuori dall’ambito lavorativo, il rafforzamento della rete per i servizi ai minori, un portale condiviso sul lavoro di cura e il sostegno alle maternità difficili. La contrattazione aziendale e territoriale possono dare una mano concreta allo sviluppo della natalità e alla tranquillità delle famiglie».

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