Emergenza ambientale

I grandi marchi: addio Cashmere Lana politicamente scorretta

I grandi marchi: addio Cashmere Lana politicamente scorretta
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Il cashmere da indossare è la lana più calda e morbida che ci sia. Un tempo era privilegio per pochi, per via dei suoi prezzi alti. Ma come spesso accade, la globalizzazione ha generato un effetto perverso: la domanda di cashmere si alzata a dismisura, i prezzi si sono abbassati, ma ora si è aperta una grave emergenza ambientale, e non solo. Il caso è stato lanciato dalle colonne del Wall Street Journal, che settimana scorsa ha reso noto come alcuni grandi marchi stessero radicalmente ripensando le loro offerte. «La produzione in serie di cashmere», scrive il quotidiano finanziario americano, «una volta esclusivamente un bene di lusso, sta alimentando la distruzione ecologica che ha indotto alcune etichette della moda alla ricerca di nuove fonti di fibra o di rinunciarvi del tutto».

 

 

Il cashmere è ricavato dal pelo invernale delle capre hircus, che vivono negli altipiani e in alcune regione montuose asiatiche, in particolare in Iran, Afghanistan e soprattutto Cina e Mongolia. Ed è proprio in queste regioni che si stanno registrando degli inattesi danni ambientali per l’eccessiva intensificazione degli allevamenti destinati alla produzione di questa lana pregiata. Secondo dati resi noti dal governo mongolo, circa il sessanta per cento dei pascoli si è inaridito, con ampie zone trasformate in deserto. Nel 2016, il 23 per cento dei pascoli era stato danneggiato gravemente o completamente. Intanto cresce la superficie dei terreni che avranno bisogno di almeno dieci anni per riprendersi o che potrebbero non farlo mai è aumentata del cinque per cento.

 

 

Ma il cashmere si trascina anche un altro problema, quello del maltrattamento degli animali. La denuncia è stata lancia dalla Peta (People for the ethical Treatments of Animals), un’associazione animalista che sorveglia le filiere produttive. Peta ha fatto girare un video, dove si denuncia il fatto che le capre degli allevamenti cinesi e mongoli (il 90 per cento della produzione mondiale di cashmere arriva da questi due Paesi) vengono trascinate per le zampe e private del proprio manto attraverso l'uso di spazzole dotate di denti di metallo affilati Dopo questa denuncia, un gruppo globale come H&M aveva annunciato la rinuncia a mettere sul mercato prodotti in cashmere. «La PETA ci ha informati che ci sono dei problemi per il benessere degli animali durante la produzione di cashmere e noi siamo d'accordo con loro sul fatto che si debba rimediare», aveva dichiarato un portavoce di H&M sempre al Wall Street Journal. «Sebbene il cashmere sia famoso per la sua consistenza morbida e sia conosciuto come un materiale di alta qualità, presenta delle sfide sul piano ambientale e su quello del benessere animale».

 

 

Ora dopo anche H&M un altro colosso della moda come Gucci è sceso in campo annunciando un cambio di politiche rispetto al cashmere. La linea dei marchi di moda non è una rinuncia definitiva. «Se l’industria del cashmere dovesse in futuro rispondere in maniera più convincente ai nostri criteri di sostenibilità, potremmo anche pensare di tornare a produrre abiti con cashmere vergine», è la posizione di H&M. Certo un po’ di preoccupazione c’è sia tra gli allevatori che tra i produttori italiani. Le esportazioni di prodotti in cashmere dall’Italia sono passate da 171 milioni di euro del 2008 a 305 milioni nel 2018, pari al 4 per cento di tutto l’abbigliamento italiano.

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