da un mal di pancia all'altro

E sul taglio dei parlamentari si è fatta retromarcia (annunciata)

E sul taglio dei parlamentari si è fatta retromarcia (annunciata)
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Fermi tutti. Sul taglio dei parlamentari c’è ancora da aspettare. Sembrava fatta dopo il voto quasi plebiscitario del parlamento del 12 ottobre scorso (14 soli i contrari...): era stato un voto autolesionistico per timore di incappare nel ciclone dell’antipolitica. Invece la macchina della politica è riuscita a trovare velocemente la strada quanto meno per rinviare la decimazione delle rappresentanze parlamentari, e quindi delle poltrone. Non è stato difficile, perché la Costituzione dice che bastano le firme di un quinto dei senatori o dei deputati per portare una legge come quella del taglio dei parlamentari alla prova referendaria. Ovviamente si tratta solo di un rinvio, perché comunque vada il corso delle cose, se si arriva alle urne è davvero difficile pensare che gli italiani non votino in massa per il sì alla riforma. Ma intanto questo stop rimescola le carte e apre scenari da montagne russe.

 

 

La raccolta di firme è andata avanti molto sotto traccia: occorreva avere 64 senatori entro il 12 gennaio, cioè entro i tre mesi dall’approvazione della riforma. Può sembrare un paradosso che chi il 12 ottobre ha votato a favore oggi firmi per bloccare quella legge. In realtà quel voto era stato vissuto con il mal di pancia da molti onorevoli del Pd e di Italia Viva, che avevano messo il loro sì per evitare di aprire una crepa nel governo. E avevano pubblicamente annunciato che avrebbero fatto ricorso alla possibilità di un referendum. Ieri è stata annunciata la 64esima firma e quindi i giochi sono fatti. Viene bloccata la promulgazione della legge e si va verso il voto che dovrebbe tenersi tra aprile e maggio. Ma il condizionale è d’obbligo. Perché questo stop potrebbe rimettere in gioco una partita che oggi sembra chiusa, quella delle elezioni anticipate. Infatti se si andasse alle urne per le politiche oggi si eleggerebbero ancora i quasi mille rappresentanti del sistema in vigore. In sostanza, c’è chi potrebbe lasciarsi tentare da questa opportunità, evitando le forche caudine di un voto nel 2023 che si annuncia come una falcidia di eletti per molte forze politiche.

 

 

E non finisce qui: il 15 gennaio la Consulta si dovrebbe pronunciare sulla proposta presentata dalla Lega, grazie al sì di otto consigli regionali, per l’abolizione della quota proporzionale nell’attuale sistema elettorale. Se dovesse arrivare un via libera da parte della Corte, lo scenario si farebbe ancora più convulso, a meno che le forze politiche (quindi anche la Lega) non trovino un accordo per un sistema elettorale che annulli le ragioni del referendum pro maggioritario.
C’è infine una terza mina a rischio esplosione nell’immediato orizzonte: il 26 gennaio si va al voto in Calabria e in Emilia. Una consultazione delicata e dalle inevitabili ricadute nazionali. Se la Lega dovesse vincere a Bologna, sembra difficile evitare un terremoto politico. La richiesta di elezioni anticipate di Salvini e Meloni potrebbe trovare alleati anche in tanti deputati che vorrebbero sfruttare la finestra aperta dal referendum che blocca per ora il taglio dei parlamentari. Prepariamoci a un gennaio sulle montagne russe...

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