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Le maras, quelle gang criminali che tengono in ostaggio El Salvador

Le maras, quelle gang criminali che tengono in ostaggio El Salvador
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Si chiamano maras e non è trascorso molto tempo da che un barbaro fatto di cronaca le ha portate all’attenzione nazionalpopolare. Ci riferiamo al gruppo criminale al quale appartengono quei due giovanotti ecuadoregni che hanno tranciato il braccio di un altrettanto giovane controllore ferroviario, per il solo motivo che questi ha chiesto loro di esibire il biglietto di viaggio.

La situazione preoccupante a San Salvador. Il problema è più che mai vivo nella terra di origine di queste bande, San Salvador. Le autorità locali stanno cercando di arginare il fenomeno, anche se l’impresa pare essere particolarmente difficoltosa. La violenza è politicizzata e la politica è violenta; pertanto, discernere le parti non infette del paese è, di per sé, un compito irto di difficoltà. L’episodio che ha fatto scattare lo stato di emergenza risale all’ultima settimana di luglio, quando le maras hanno imposto il blocco del trasporto pubblico. Il procuratore generale Luis Martìnez è deciso a tentare in tutti i modi di debellare le gang, che ogni giorno di agosto hanno assassinato 24 persone. Alla fine dell’anno il conto è impressionante: i cittadini ammazzati dalla criminalità sono 92 ogni 100mila abitanti.

 

 

I livelli di violenza sono aumentati vertiginosamente e secondo Jeannette Aguilar, docente dell’Università Centroamericana José Simeòn Simeón Cañas, parte della responsabilità è del governo. Nel 2014, infatti, era stata concessa una tregua alle maras, in cambio di una diminuzione dei fenomeni criminali. I politici hanno commesso un errore che denuncia scarso acume. La criminalità non era affatto diminuita, semplicemente gli uomini delle gang erano riusciti a far passare molte delle loro imprese sotto silenzio. Approfittando della tranquillità apparente, gentilmente concessa dalle autorità del Paese, le maras si sono rafforzate e riorganizzate, acquisendo nuovo vigore. Come Aguilar ha spiegato ad Avvenire, l’incremento nel numero di assassinii «dipende da molti fattori. Durante la tregua, le maras hanno constatato l’enorme potere che possono avere nei confronti dello Stato attraverso il “dosaggio” della violenza. E lo utilizzano per costringere quest’ultimo a scendere a patti. Oltretutto, le gang hanno approfittato della “pausa” per rafforzarsi nell’economia criminale e moltiplicare le proprie zone di influenza. La repressione non basta. È necessario uno sforzo dell’intera società con iniziative su più fronti». Per fermare le maras è stata formata una Commissione nazionale sulla sicurezza a cui partecipano tutte le forze politiche, sociali e religiose, proprio per cercare di includere tutta la società nella lotta contro le bande armate. Ma come fanno a essere così potenti e completamente fuori da ogni controllo?

 

 

Il nome e l'origine. Iniziamo dal nome, maras. Secondo i più, il sostantivo è un’abbreviazione di marabunta, letteralmente “formica che divora qualsiasi cosa trovi davanti a sé”, in senso traslato “folla caotica di persone”. Distruzione, ingordigia e caos, dunque. Le maras sono nate negli anni Ottanta, partorite dalla guerra civile scoppiata nello stato sudamericano di San Salvador. I contendenti, come accade quasi sempre in una guerra civile, erano il governo, da una parte, e la guerriglia, dall’altra. Le famiglie, ovviamente quelle che potevano permetterselo, scapparono dal Paese stravolto dalla violenza e andarono negli Stati Uniti. Dal 1980 al 1992, anno in cui la guerra terminò con un trattato di pace firmato sotto l’egida di Washington, il flusso di fuggiaschi fu costante.

A partire erano soprattutto donne e bambini, spesso erano bambini soli. Si riversarono in massa nelle città californiane. Los Angeles, in particolare. I piccoli salvadoregni si ritrovarono in strade comandate da gang di afroamericani e asiatici, erano senza protezione e nessuna associazione benefica aveva preso a cuore il loro status di rifugiati, tanto meno il governo. Per poter sopravvivere in un ambiente ostile e sconosciuto, i bambini di dieci, undici anni, formarono delle bande (maras) e presto incominciarono ad agire nello stesso modo violento delle gang autoctone. Due erano le maras che nacquero dalla miscela esplosiva di guerra civile e di abbandono: la M13 e la M18, i numeri si riferiscono alle strade di Los Angeles. Successivamente, la M13 prese il nome di maras Salvatrucha e divenne acerrima rivale della M18, per ragioni che sono tutt’ora ignote.

 

152772-ms-13-gang-member-650x429 El Salvador Bus Strike

 

Il ritorno a San Salvador e le attività illecite. Quando la guerra civile in San Salvador terminò, il governo statunitense prese i rifugiati e li rimpatriò forzatamente, per liberarsi della piaga delle gang. Voleva ripulire il suo territorio, non risolvere il problema alla radice. In questo modo, le maras si spostarono dagli Stati Uniti a San Salvador, Nicaragua e Ecuador, dove la precaria situazione politica accrebbe il potere dei gruppi criminali, che imposero il loro controllo sul territorio. Da allora non hanno smesso di dedicarsi a ogni attività illegale che sia mai stata inventata su questo mondo e hanno stretto pericolosi contatti con la mafia italiana. Pare infatti che i membri delle maras svolgano un ruolo cruciale nello smerciare la droga ai singoli pusher. “Effetti della globalizzazione”, è così che si potrebbe commentare l’intera situazione. Le maras sono basate in America latina, ma i loro adepti hanno diffuso i loro contatti.

Il rito di iniziazione e la fedeltà. Entrare in una mara significa votare la propria vita a un solo scopo: servire la banda. Come le associazioni mafiose, anche le maras impongono ai neofiti un rituale d’iniziazione. Adolescenti di tredici anni, o anche più giovani, si fanno picchiare a calci e pugni per 13 secondi, apparentemente per mostrare la loro forza, più realisticamente per deporre qualsiasi tentativo di rivolta nei confronti della mara stessa. Le ragazze, invece, possono scegliere: o farsi picchiare o farsi violentare dai capi dell’organizzazione. La maggior parte di loro sceglie la prima opzione, non sorprendentemente. Pare, infatti, che il pestaggio permetta di ottenere più rispetto da parte dei compagni. Tutti sanno che una volta entrati nella mara, è per sempre. Così ci si tatua la pelle con simboli legati all’organizzazione e si obbedisce ciecamente agli ordini impartiti dai vertici.

 

 

I fondatori sono pentiti. Attualmente, gli affiliati alle maras sono 25 mila, sparsi nell’America Centrale. Ma le nuove leve non soddisfano i fondatori delle gang, che anzi si dicono pentiti di ciò che hanno fatto nascere. Ernesto Miranda, Julio Cesar e Carlos Alberto Vasquez (i nomi sono di fantasia, per ovvi motivi) hanno rifiutato la loro creazione, molto tempo fa. L’hanno spiegato a Claire Marshall, corrispondente per la BBC in San Salvador: «Le maras sono nate come misura di autodifesa», afferma Julio Cesar, che nel 1980 aveva appena passato i dieci anni d’età, «poi la situazione ci è sfuggita di mano». Ora i tre stanno cercando di rimediare a quanto è stato fatto attraverso un’organizzazione che aiuta i giovani ad allontanarsi dalle maras, la San Andres Foundation. Il lavoro da fare è molto, ed è arduo. Ma da qualche parte bisogna pur incominciare.

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