Con qualche esempio letterario

Tornando alla vignetta di Giannelli O meglio, al (buon)senso di ridere

Tornando alla vignetta di Giannelli O meglio, al (buon)senso di ridere
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Si vede proprio che la gente ha tempo da perdere. E che ce lo vuol far perdere anche a noi, che avremmo molto di meglio da fare che non parlare della vignetta di Giannelli coi padroni di casa che, al ritorno dalle vacanze, si trovano i profughi in salotto. Gliene hanno scritte d’ogni, per usare le forbita espressione di un amico. Quella che ci ha colpito di più è però una sola, ricorrente e probabilmente velenosa - almeno nelle intenzioni: «Non fa ridere». Ora si suppone che uno che scrive sui giornali o sui blog dovrebbe sapere che non sono mai le vignette - nemmeno le barzellette - in sé a far ridere, ma quella speciale triangolazione che ha un vertice nell’autore, l’altro nel suo testo (scritto o grafico), il terzo nel pubblico. Si ha sempre a che fare con questa triangolazione quando si legge un libro, ma con le vignette la cosa si fa ancora più seria. Un’irresistibile (ammettiamo che sia irresistibile) barzelletta su un marito cornuto in paradiso non fa tanto ridere se viene raccontata alla presenza della vedova in gramaglie. Come si dice: mai parlare di corda in casa dell’impiccato.

Se voleste esercitarvi in questo campo per verificare l’ipotesi, tenete a portata di click (di bookmark, di segnalibro) qualche striscia dei Peanuts o di Mafalda e, quando avrete individuato il tipo che - voi pensate - non riderà, fategliela vedere. Se reagisce nel modo previsto (bocca atteggiata a: Beh? Che c’è da ridere?) sarete certi che quel che pensate del vostro amico è vero che più vero non si può. Giannelli lo ha anche detto, in replica agli attacchi dei social network: «Non sapete ridere» e, più avanti, «Io penso che chi non riesce a capire questa vignetta abbia bisogno di un'iniezione di fosforo» si legge in una sua intervista a Il Fatto Quotidiano riportata da etalia.net. D’accordo: però non è nemmeno questione di fosforo.

L’umorismo è selettivo non dell’intelligenza delle persone, ma della loro situazione culturale o psicologica. Le barzellette che fanno scompisciare i tedeschi a noi fanno venire la pelle d’oca per l’imbarazzo: non riusciamo a capire come possano reagire in quel modo a battute che noi riteniamo assolutamente scontate, o financo idiote. E non è che i tedeschi siano meno - o più - intelligenti di noi. Hanno semplicemente una diversa cultura.

Attribuire alla battuta isolata la capacità (o la non capacità) di far ridere implica il fatto di ritenersi la quintessenza dell’umanità, un esemplare particolarmente pregiato di “uomo in generale”; vuol dire attribuirsi il bollino di “intelligente”, di “sottile” in un mondo di razzisti, sessuofobi, teste da un tant al tòcc. C’è gente che, quando ascolta le barzellette che alcuni vecchi preti o uomini di sacrestia si ostinano a ripetere generazione dopo generazione credendo di far ridere, pensa che sia ormai giunta l’ora di sterminarli tutti. Ma loro, i narratori, le trovano estremamente divertenti. Per certi versi addirittura geniali.

Se c’è in casa uno di quelli che non ridono alle strisce opportunamente selezionate del Bracchetto e di Schroeder col suo pianofortino, e alla televisione sta passando un film di Totò, sarà opportuno cambiare immediatamente canale o spegnere del tutto l’apparecchio. Perché si irritano, invece di godere come ricci. E adesso non dite che Totò è sbagliato perché non fa ridere, altrimenti vi diamo in pasto a due fatti di crack e con una Katana in mano (citazione da Pulp Fiction, di Quentin Tarantino).

Perché poi gli umorismi non sono tutti uguali: c’è quello raffinato, ma c’è anche quello popolare, intenzionalmente grossolano, al quale pure ci si può abbandonare senza commettere peccato di lesa intelligenza. Basta saperlo. Pensate che c’è stato addirittura qualcuno che, per anni, ha sostenuto che La metamorfosi - il racconto di Kafka il cui protagonista, Gregor Samsa, si sveglia una mattina trasformato in uno scarafaggio - fosse un testo comico. Irresistibilmente comico. Questo qualcuno si è preso tutte le contumelie di cui sono capaci i conferenzieri e i docenti universitari, fin quando non è saltato fuori un manoscritto in cui venivano riferite le pazze risate suscitate dal povero Franz quando leggeva il suo testo agli amici più stretti nel corso di conciliaboli intellettuali ai quali vorremmo tanto aver preso parte. D’altro canto, provate a leggere la storia dello scarafaggio dopo aver frequentato per qualche tempo l’umorismo hiddish e vedete se non vi apparirà irresistibile.

Viceversa, proponete, che so? Il naso o La prospettiva Nevskij di Gogol a uno studente del biennio e noterete che nemmeno una goccia di quella sublime comicità riuscirà a cadere sulla tovaglia. Sarà più facile che tenti di lanciare il libro fuor dalla finestra, se non legge ancora sul tablet. Ridere è un fatto complicato. Prendersela con Giannelli dice dunque molto non tanto della sua vignetta quanto dei suoi lettori. E su certe loro reazioni - permettete - non c’è tanto da ridere.

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