Ecco come fanno

Apple e le altre che eludono il fisco Ma l'Italia finalmente batte cassa

Apple e le altre che eludono il fisco Ma l'Italia finalmente batte cassa
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Il 2015 di Apple si è chiuso con diversi grattacapi, il primo sicuramente dovuto alle vendite del nuovo iPhone 6s, che hanno in parte deluso le aspettative, tanto da costringere il colosso americano a tagliare la produzione nelle sue aziende in Cina per smaltire le riserve di magazzino. I proventi di Apple non dovrebbero tuttavia subire clamorose battute d'arresto, ma alcuni problemi sono sorti per quanto riguarda il fisco, perché il processo che si è concluso in Italia non solo ha rappresentato un esborso imprevisto, ma ha anche intaccato l'immagine dell'azienda. I giudici italiani hanno accertato l'elusione fiscale nei confronti dello Stato e Apple ha così dovuto accettare il pagamento di una multa record da ben 318 milioni di euro, a fronte di un'evasione di 880 milioni di euro di Ires. La vittoria delle istituzioni non è soltanto una buona notizia per il nostro Paese, ma anche per il resto del mondo, dato che costituisce infatti un precedente internazionale molto pesante.

 

 

Le tecniche di elusione. Il fenomeno dell'elusione fiscale è molto diffuso: quasi tutte le aziende che operano su scala mondiale hanno in questi anni escogitato raffinatissime tecniche per ridurre all'osso la spesa per i tributi in modo legale seppur non etico, spostando le proprie sedi legali e compiendo abili manovre di bilancio. Questa situazione coinvolge tanto l'Europa quanto gli Stati Uniti ed è da tempo oggetto di discussione nei più importanti meeting internazionali di G20, Fondo Monetario Internazionale e Ocse. Durante l'ultimo incontro del FMI a Lima, pare però che sia stato finalmente raggiunto un accordo tra gli Stati, che si basa su un principio cardine molto semplice della tassazione, ovvero che le tasse devono essere pagate nello Stato dove si generano i profitti. La situazione però è spesso molto complessa, perché le multinazionali, con artifici contabili e una fitta rete di società, sono state abili a rendere molto ardua una ricostruzione chiara dei profitti, che spesso vengono spostati dove più conviene.

In questo contesto, come spiegava Panorama già nel settembre 2014, ci guadagnano anche alcuni Paesi, come l'Irlanda, che fino all'anno scorso aveva attirato ben 700 società americane, le quali a loro volta hanno portato lavoro a 115mila irlandesi. Questa rete coinvolge inoltre un gran numero di intermediari in Olanda e società con sede in paradisi fiscali, incaricati principalmente di rendere più difficile la ricostruzione dei movimenti finanziari e diminuire ancora di più l'impatto fiscale. «Gli unici perdenti in questo gioco - spiegava a Panorama Jim Stewart, esperto di finanza e tassazione d'impresa del Trinity College di Dublino - sono i Paesi europei come il vostro: gli utili che queste aziende fanno in Italia vengono tassati in paradisi fiscali». Uno dei problemi più spinosi ora è quindi quello di affrontare a Bruxelles il problema della concorrenza fiscale tra gli Stati, che spesso operano in maniera sleale nei confronti di altri Paesi dell'Unione per attirare sul proprio territorio aziende che altrimenti non si sarebbero mai avvicinate, offrendo condizioni vantaggiose e molta tolleranza sui controlli.

 

 

La soluzione con Apple. Apple ha la propria sede legale in Irlanda e grazie a questo escamotage è riuscita finora ad esimersi da pagare quanto dovuto allo Stato Italiano (e non solo), sempre rimanendo nella presunta legalità e sfruttando le falle di un sistema decisamente bacato. Il Senato Usa, a seguito di un'indagine approfondita, ha stilato un rapporto nel maggio 2013, spiegando addirittura che la sede irlandese di Apple, denominata Apple Operations International, pur avendo miliardi di dollari di introiti, non aveva mai avuto nemmeno un dipendente. I giudici italiani hanno verificato concretamente che parte degli utili erano prodotti sul suolo italiano e che perciò dovevano essere sottoposti alla tassazione territoriale del nostro Paese.

L'accordo con l'Agenzia delle Entrate inoltre guarda già avanti: per prevenire il verificarsi di situazioni simili in futuro, ha istituito una procedura di ruling internazionale, ovvero una sorta di piano fiscale che dispone in che percentuale le imposte saranno ripartite tra Italia e Irlanda. Il piano di ruling non è ancora stato definito ma secondo quanto riferito dalla Procura si tratterà di un regolamento atto ad «armonizzare la posizione di società che operano in più Stati» e sarà valida per i prossimi cinque anni. Secondo quanto scritto dal Financial Times, anche il premier Matteo Renzi ha avuto un importante ruolo nella vicenda, incontrando il leader di Apple Tim Cook lo scorso novembre dopo una lezione all'università Bocconi di Milano e chiedendo in maniera risoluta di risolvere il contenzioso fiscale con l'Italia.

 

 

Ora tocca a Google e a tutte le altre. La prossima società ad essere nel mirino del Fisco è ora Google, altro colosso della tecnologia da sempre molto criticato proprio per la sua capacità di "nascondere" gli utili ai vari Stati, pagando di fatto percentuali irrisorie sugli enormi profitti annuali. L'inchiesta sull'azienda di Mountain View è coordinata dal procuratore aggiunto Francesco Greco e affidata al pubblico ministero Isidoro Palma e, secondo quanto riferito da Repubblica, a meno di spiacevoli sorprese, dopo un anno di lavoro lo Stato dovrebbe fissare una multa di circa 150 milioni di euro.

Altre due compagnie di hi-tech sono già nei piani delle istituzioni, si tratta del leader mondiale della vendita online, Amazon, e Western Digital, un colosso storico della produzione di dispositivi di archiviazione informatici. Le attività di Amazon sono al vaglio delle autorità, che hanno aperto un fascicolo d'inchiesta a carico d'ignoti e per ora senza ipotesi di reato, ma in passato diverse testate si erano interessate all'argomento, ricostruendo almeno superficialmente il meccanismo di fatturazione della multinazionale. L'azienda ha la propria sede europea in Lussemburgo e sembra essere riuscita finora a nascondere ingenti profitti grazie a un sistema di trasferimento tra l'Europa ed il Nevada, considerato un vero paradiso fiscale in territorio Usa. Secondo quanto emerso, Amazon Europa dichiarerebbe un profitto dello 0,55 percentosul fatturato, una cifra decisamente troppo bassa per convincere gli esperti del settore e che probabilmente testimonia un altro abile sistema contabile che, sfruttando le falle di un sistema imperfetto, sottrae all'Italia ed agli altri paesi europei milioni di euro di tributi.

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