La città e il coronavirus

Bergamo non canta sui balconi, conta i suoi morti negli ospedali e nelle chiese

Bergamo non canta sui balconi, conta i suoi morti negli ospedali e nelle chiese
Pubblicato:
Aggiornato:

di Andrea Rossetti

Non so se è un'impressione, un convincimento più che un dato di fatto, ma Bergamo non canta. Mentre nelle altre città italiane i flash mob sui balconi alle 18 (ma pure alle 12 o alle 21, ormai ogni orario è buono) sono diventati quasi un rito, qui è il silenzio a vincere, rotto soltanto dalle sirene delle ambulanze. Ci sono sporadiche eccezioni: un turista che suona Halleluja, una timida schitarrata, un imbarazzato applauso. Ma è, oggettivamente, poca roba. Bergamo non canta, conta. I morti.

Lo diciamo da giorni, lo affermiamo nuovamente: il Coronavirus si sta lasciando alle spalle nomi e volti che non rientrano nei conteggi ufficiali delle conferenze stampa regionali e della Protezione civile, ma che è impossibile non vedere se si vive qui, nel territorio più martoriato da questa pandemia. Parlano le bare ordinatamente messe in fila nelle chiese, i forni crematori in funzione ventiquattro su ventiquattro, le pompe funebri che non riescono più a sostenere il troppo lavoro. Parlano anche i numeri, sebbene senza il supporto dei tamponi: solo a Bergamo città si è passati dai 23 morti del 2019 agli oltre 300 di quest'anno nella seconda settimana di marzo. Bergamo non canta. Piuttosto accende candele e le lascia davanti alle finestre, quasi a dare un ultimo saluto a quel parente, quell'amico, quel conoscente portato via dal virus (o da chi per esso).

WhatsApp Image 2020-03-17 at 11.13.06 (4)
Foto 1 di 10
WhatsApp Image 2020-03-17 at 11.13.06 (1)
Foto 2 di 10
WhatsApp Image 2020-03-17 at 11.13.07
Foto 3 di 10
WhatsApp Image 2020-03-17 at 11.13.06 (3)
Foto 4 di 10
WhatsApp Image 2020-03-17 at 11.13.06
Foto 5 di 10
WhatsApp Image 2020-03-17 at 11.13.05 (4)
Foto 6 di 10
WhatsApp Image 2020-03-17 at 11.13.05 (3)
Foto 7 di 10
WhatsApp Image 2020-03-17 at 11.13.05 (2)
Foto 8 di 10
WhatsApp Image 2020-03-17 at 11.13.05 (1)
Foto 9 di 10
WhatsApp Image 2020-03-17 at 11.13.05
Foto 10 di 10

In questi giorni ci si attende finalmente un rallentamento dei contagi, risultato delle misure restrittive poste in atto e che, a Bergamo e dintorni, sono ufficiosamente in atto da ben prima del decreto romano. Non perché siamo migliori di altri, non perché i bergamaschi siano un popolo particolarmente ligio al rispetto delle regole. Semplicemente, qui si ha paura. Nulla è più convincente di questa sensazione primordiale, innata. A Bergamo si resta a casa, in primis, perché si stanno vedendo le conseguenze reali della pandemia. Si resta a casa perché si prega (anche chi non lo fa abitualmente, sotto sotto, lo sta facendo) affinché le chiese possano finalmente svuotarsi di bare e gli ospedali di persone intubate. Si resta a casa perché gli ospedali non hanno più posti e medici, infermieri e operatori sanitari sono sfiniti, allo stremo. Si resta a casa perché, con le finestre chiuse, le sirene delle ambulanze bucano meno i timpani e questo regala qualche ora di sonno in più senza incubi.

Quando tutto questo sarà finito, ci sarà da festeggiare. Ma soprattutto da ricordare. Allora, forse, Bergamo canterà, ma sarà comunque un canto di dolore più che di liberazione.

Seguici sui nostri canali