Dopo l'incidente

Caporalato, la soluzione è lontana (perché nessuno lo contrasta)

Caporalato, la soluzione è lontana (perché nessuno lo contrasta)
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«Era rimasto poco in quel cimitero di lamiere. Ma le mani si vedevano benissimo. Erano tutte sporche di terra». Capita di rado di sentire un inquirente che confessa il proprio turbamento rispetto al caso che sta affrontando. Ma Lanfranco Vaccaro, procuratore di Foggia, ieri non è riuscito a trattenere l’emozione rievocando la scena del pulmino con i 12 braccianti morti dopo lo scontro frontale con un Tir sull’Adriatica.

Il caporalato. È la fotografia di uno scandalo italiano di cui tutti sono a conoscenza ma che nessuno sino ad ora è riuscito ad arginare. Lo scandalo va sotto il nome di caporalato: una rete organizzata che procura manodopera sulla base delle necessità ai grandi proprietari terrieri in Puglia come in Calabria e Campania. Per arginare il fenomeno nel 2016 è stata approvata una legge che punisce severamente questo tipo di organizzazione del lavoro. Ma è una legge che è rimasta praticamente lettera morta: basti pensare che sulle circa 200mila imprese del settore sole 3600 risultano essere iscritte alle reti del lavoro agricolo di qualità, cioè pienamente in regola con l’INPS.

 

 

I ghetti. Uno dei punti più controversi del sistema del caporalato è quello che riguarda il sistema dei ghetti in cui i braccianti sono costretti a vivere a cui si aggancia il sistema dei trasporti. Infatti tenere tutti i braccianti negli stessi posti e garantirne il viaggio verso i campi è un modo per tenere sotto controllo il sistema. I ghetti sono immensi dormitori di baracche, che ormai si sono costituiti come vere città clandestine, con bar, luoghi per la notte, e anche cappelle per i servizi religiosi. Ad esempio in Puglia in 3mila vivono nella ex aerostazione di Borgo Mezzanotte, proprio a fianco del Cara, una struttura di prima accoglienza per immigrati appena sbarcati. Per muoversi dai ghetti non esistono alternative. Nel 2016 la regione Puglia aveva stanziato 1,5 milioni di euro per favorire un diverso sistema di trasporti anche su mezzi più adeguati, ma quei soldi sono rimasti non spesi: le aziende infatti non hanno mai indicato alla Regione i luoghi dove prelevare i braccianti, per timore di rompere il rapporto con i caporali che gestiscono un sistema che permette di comprimere i costi. Certo, ci si può chiedere perché la Regione a due anni di distanza, trovandosi quei soldi ancora in tasca, non abbia preso iniziativa in modo più deciso.

 

 

Quanto vale una vita. La gestione dei braccianti è infatti un business attorno al quale girano tantissime possibilità di guadagno: un posto letto vale 50 euro al mese, il trasporto quotidiano 5 euro. Il pulmino che si è schiantato lunedì sull’Adriatica valeva 60 euro. Per avere un’idea della dimensione del fenomeno basta questa cifra: nel 2018 nel Foggiano sono stati sequestrati ben 300 furgoni irregolari con targa bulgara, ai quali vengono in genere togli i sedili per aumentarne la capienza. Spesso i braccianti viaggiano su mezzi senza finestrini, com’era accaduto nel caso di settimana scorsa, quando in quattro hanno perso la vita in un altro incidente. Paradosso vuole che le liste di disoccupazione in provincia di Foggia siano piene di italiani e tra quelle liste non ci sia neppure un immigrato...

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