A luglio 2014 la sentenza definitiva

Il caso Eddy Castillo, ucciso a due passi e un mese da Yara

Il caso Eddy Castillo, ucciso a due passi e un mese da Yara
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Efferatezza, inverno, Chignolo d’Isola: è il fil rouge che lega Yara Gambirasio e Eddy Castillo, entrambi assassinati a solo un mese e mezzo di distanza (26 novembre 2010 lei, 16 gennaio 2011 lui) e ritrovati nel campo antistante il locale Sabbie Mobili di Chignolo d’Isola, a soli 300 metri di distanza. Tra i due fatti di cronaca nera, però, non vi è alcuna correlazione, assicurano gli investigatori. Solo una macabra casualità, che a brevissimo intervallo ha portato la sconosciuta località bergamasca sotto tragici riflettori. E i due fatti, sicuramente, non hanno in comune i tempi di risoluzione: mentre per la tredicenne di Brembate Sopra, infatti, il principale indagato è ancora assassino “presunto”, l’omicida del dominicano Eddy Castillo ha un nome e un cognome ormai da diversi mesi; ma solo il luglio scorso è stata proclamata la sentenza definitiva. Ecco il caso, passo a passo.

Il fatto. Eddy Manuel Barone Castillo, operaio di 26 anni di origini dominicane e residente ad Almenno San Bartolomeo con la famiglia, il sabato del 15 gennaio del 2011 decide di passare la serata nel locale Sabbie Mobili, in compagnia di alcuni amici. Questi ultimi affermeranno poi di averlo perso di vista tra le 2 e le 3 di notte (16 gennaio), e di essere tornati a casa senza essere più riusciti a rintracciarlo. La mattinata seguente, intorno alle 11, sarà un agente di commercio con il cagnolino al guinzaglio ad incappare per caso nel cadavere del giovane operaio riverso in un lago di sangue, nel campo di fronte alla discoteca, in via Bedeschi.

Le indagini. «Decesso in seguito a percosse» è quanto scaturisce dall’autopsia effettuata sul cadavere, che si presenta pieno di ecchimosi. Inizialmente sembrano non esserci piste da seguire, e l’omicidio pare destinato a finire nel fascicolo dei casi di cronaca nera rimasti irrisolti.

Ma attraverso le testimonianze degli amici qualcosa viene a galla: solo poco tempo prima, la notte del 20 novembre 2010, Castillo era tornato a casa col volto pieno di lividi, e aveva giustificato l’incidente ai famigliari dicendo di essere stato coinvolto in una rissa. Ma si era rifiutato di denunciare, e dopo quella sera, non era uscito per più di un mese.

Una vera svolta nelle indagini è data però dalle telecamere di sorveglianza della discoteca: le registrazioni di quel 16 gennaio, infatti, mostrano il ventiseienne allontanarsi dal locale, intorno alle 3 di mattina, per essere poi raggiunto da un uomo, in un secondo momento. Castillo, nelle riprese rese offuscate dalla nebbia, appare barcollare, mentre l’uomo che gli sta accanto inizia a spintonarlo. La scena seguente è nascosta dai capannoni industriali, ma le ricostruzioni lasciano supporre che il suo assassino, probabilmente in seguito ad una forte lite, abbia sbattuto la testa del giovane contro il marciapiede, non lontano dalla cabina dell’Enel, causandone la morte.

Il colpevole. La caccia all’uomo si infittisce, soprattutto tra gli abituali frequentatori della discoteca. E nella mattinata del 9 maggio del 2013, la sagoma che i filmati mostrano in compagnia di Castillo trova finalmente un nome: si chiama Nicola Comi, è un operaio di 31 anni residente a Carvico, già noto alle forze dell’ordine per due precedenti per lesioni. Il suo DNA è stato recuperato dai residui di pelle trovati sotto le unghie del giovane sudamericano e su un mozzicone di sigaretta individuato accanto al cadavere.

La prova è schiacciante, ma l’allora avvocato del presunto assassino, Mauro Invernizzi, fa leva su un particolare della vittima: Castillo, secondo le analisi, presentava infatti un livello di alcol cinque volte superiore a quello consentito per legge; secondo la difesa, il giovane potrebbe essersi dunque procurato da solo la ferita mortale. Ipotesi scartata nel corso del processo.

Rimane poco chiara la causa della lite, anche se l’avvocato della famiglia di Eddy Castillo, Adele Cammareri, raggiunta telefonicamente, ha dichiarato: «Nicola Comi ha sempre mantenuto il silenzio sulle ragioni del suo gesto, ma si suppone che tutto possa essere scaturito da un mancato passaggio. Alcuni testimoni dicono che Castillo si trovava fuori dal locale intorno alle 3 di notte, e stava cercando di avere un passaggio dagli amici di Comi, ma loro si sono rifiutati. Da lì potrebbe essere nato un bisticcio che poi è degenerato in tragedia». È stata comunque respinta l’idea che l’assassino possa essere implicato anche nella rissa in cui Castillo era stato coinvolto a novembre. Sempre secondo la legale, infatti «I due non si erano mai visti prima di quella sera; è esclusa la possibilità che si sia trattato di un regolamento di conti».

Sentenza finale. Durante l’udienza preliminare di giugno erano state formulate dall’accusa le richieste di 30 anni di reclusione e di 800 mila euro di risarcimento provvisionale. Ma il 15 luglio scorso il gup Patrizia Ingrascì ha escluso le aggravanti per futili motivi e le attenuanti generiche, stabilendo la pena per 20 anni di reclusione.

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