Un mercato da 8,5 miliardi di euro annui

Chefchaouen, la città blu capitale mondiale dell'hashish

Chefchaouen, la città blu capitale mondiale dell'hashish
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È una piccola città, incastonata tra le montagne del Rif, cioè la catena montuosa che nasce in Gibilterra, attraversa poi il Marocco e arriva fino in Algeria. È una cittadina che ti toglie il fiato: le case sono tutte azzurre o blu cobalto, dei colori del mare o del cielo terso. Chefchaouen è una meta che, dal punto di vista architettonico, non ha nulla da invidiare a località turistiche come Santorini, eppure in pochi la conoscono. E chi la conosce non è certo perché amante del turismo alternativo, bensì per un semplice motivo: l’hashish. Chefchaouen è la capitale marocchina (ma potremmo dire anche mondiale, numeri alla mano), dell’hashish e ogni anno, da ogni parte del mondo, migliaia di persone arrivano qui per fumarsi un po’ di erba in santa pace.

 

Smoking a pipe

 

La storia complicata di Chefchaouen. Questa città dalle case blu ha avuto, nella sua storia, diverse vite e diversi abitanti: per gli ebrei, perseguitati ai tempi dell’Inquisizione spagnola, la città del blu cobalto era un riparo segreto, un luogo di speranza e di salvezza; per i berberi è più semplicemente la città delle “chaouen”, le corna di capra, rappresentate dai monti che circondano il centro cittadino; per i musulmani, infine, è la città inviolabile, quella della grande moschea, luogo di culto e preghiera, una città sacra che è stata, per secoli, vietata agli stranieri. Anche per questo il turismo, da quelle parti, non ci è mai davvero arrivato, senza contare che il Rif che la circonda la rende una meta inadatta alla classica vacanza di chi visita il Marocco, fatta di mare e passeggiate nel deserto.

Un tesoro nascosto sulle montagne. Col passare degli anni, però, pur rimanendo sconosciuta ai più, di Chefchaouen si è iniziato a parlare. Come spiega Lettera43 in un interessante reportage, questa cittadina dalle case blu è oggi diventata l’Amsterdam del Marocco, la capitale indiscussa dell’hashish. Le statistiche dicono che il 40% della marijuana della Terra e oltre l’80% di quella che si consuma in tutta Europa è coltivata dai contadini berberi sulle vette del Rif che circondano Chefchaouen. Per questo, d’estate, diventa il paradiso dei seguaci del rastafarianesimo, la religione nata negli anni ’30 del Novecento e che insegna ai propri fedeli l’uso della marijuana come erba medica e meditativa. I lavoratori del luogo, non appena scorgono un volto occidentale, offrono subito ciò che pensano sia venuto a cercare: fumo. È nato così un vero e proprio turismo alternativo, quello delle piantagioni presenti sulle montagne circostanti la città. La gente del posto si offre come guida ai visitatori e li accompagna in camminate tra le coltivazioni dei contadini berberi. Il tutto fregandosene della legge marocchina, che vieta espressamente la produzione, la vendita e il consumo di droga.

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Coltivazioni di hashish nel Rif che circonda Chefchaouen

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Coltivazioni di hashish nel Rif che circonda Chefchaouen

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Coltivazioni di hashish nel Rif che circonda Chefchaouen

A young man smokes and relaxes during dusk, Chefchaouen, Morocco
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Un ragazzo fuma il kif sul Rif che circonda Chefchaouen

La magnanimità di Mohammed VI. A quanto pare, però, il re islamico del Marocco, Mohammed VI, è un re buono e davanti a questi comportamenti chiude un occhio. Anzi, diciamo pure entrambi gli occhi: la polizia è corrotta e chi finisce dentro per motivi legati all’hashish, dopo poche ore è di nuovo libero. Il motivo? Si è stimato che addirittura il 10% del Pil marocchino sia composto dal mercato nero della marijuana. Una cifra che si aggira sugli 8,5 miliardi di euro l’anno e che dà lavoro a oltre 800 mila persone. Attualmente, l’opposizione ha presentato in parlamento una proposta di legge per la legalizzazione, con l’intento di dare un impulso positivo all’economia locale. Del resto, il consumo di hashish fa parte della tradizione marocchina e i berberi coltivano marijuana da tempi immemori, si dice sin dal 1400. Fino al 1954, sotto il regno di Mohammed V (nonno dell’attuale sovrano), la coltivazione di cannabis era permessa, seppur con molti limiti, in segno di rispetto della tradizione e della cultura locale. Successivamente, Hassan II, con l’intento di far bella figura con le potenze occidentali, vietò la marijuana. Un divieto che, dicono, sia ancora oggi in vigore. Dicono però, perché ben pochi turisti se ne rendono conto una volta giunti a Chefchaouen.

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