Cinque grandi verità sulla pasta

Sulla pasta, regina delle tavole italiane e probabilmente anche protagonista dei menu delle prossime feste, se ne sono dette di cotte e di crude, nutrendo da un lato false credenze e dall’altro curiose verità. A fare chiarezza su questo alimento ci hanno pensato da un lato Expo Milano con i vari World Pasta Day & Congress e dall’altro Aidepi, l’Associazione delle Industrie del Dolce e della Pasta Italiane.
È noto che la pasta è una ricca fonte di carboidrati, in grado di poter soddisfare, insieme ad altri cibi, il fabbisogno quotidiano di questo macronutriente. Meno risaputo è invece il fatto che i carboidrati dovrebbero garantire all’organismo all’incirca il 55-60 percento delle calorie giornaliere, nel rispetto di una dieta sana, bilanciata, equilibrata e mediterranea. Sulla pasta ce ne sarebbe da dire, ma vogliamo focalizzare l’attenzione su 8 punti che si sembrano i più utili per trarre da questo alimento i migliori benefici, non solo di gusto ma soprattutto salutistici.
1) È a prova di bilancia
Ovvero, la pasta non fa ingrassare, a patto che non venga arricchita da troppo condimento o che non sia introdotta in una dieta ipercalorica. Se la pasta fa parte di una dieta light, ovvero misurata in tutte le sue componenti, è possibile mangiarne anche 100 grammi. Questa porzione fornisce infatti un apporto energetico pari a circa 360 kcal, di cui circa il 70 percento sotto forma di carboidrati complessi, 10-13 di proteine e una quota di grassi molto trascurabile. In buona sostanza, per non ingrassare mangiando pasta, è sufficiente non servirsi porzioni extra-large e che navighino nell’olio o in condimenti troppo appetitosi al gusto, ma poco salubri per il fisico.
2) La pasta senza glutine non è slim
Vige la convinzione che la pasta per celiaci o per chi soffre di ipersensibilità al glutine, sostituita a quella di grano duro, possa aiutare anche le persone normali a mantenersi in linea o addirittura a perdere peso. A volte, con la pasta senza glutine, può capitare esattamente il contrario perché il rischio è di compensare l’adeguato e necessario apporto di carboidrati complessi con un’alimentazione eccessivamente ricca di grassi, superando così le calorie giornaliere raccomandate.
3) Quella italiana contiene solo grano duro
È questa l’unica componente che si trova nella pasta italiana, se si sceglie quella secca e non all’uovo. È così dal 1967, quando una legge ha reso obbligatorio che il grano duro fosse il solo costituente della pasta secca nel rispetto di parametri, quali umidità, proteine e acidità, che determinano l’alta qualità del prodotto. E si tratta di pasta non geneticamente modificata, sebbene abbia subito un'evoluzione nel tempo. Il grano usato per la produzione della pasta di oggi è moderno ed è di razza dicocco selvatico: è nato solo in tempi piuttosto recenti dall'incrocio spontaneo e casuale tra il farro selvatico e l'erba delle capre, un infestante. Su questa forma di grano sono stati poi operati dei ritocchi genetici, senza ricorrere però agli ogm, che lo hanno reso migliore, consentendo la produzione di più varietà, più resistenti e più produttive, con più proteine e con un glutine di miglior qualità. Tutte caratteristiche che hanno reso la pasta con più mordente e dal colore dorato.
4) È più digeribile al dente
Meglio al dente, affinché conservi al suo interno un po’ di anima dura. È questo il segreto per rendere la pasta non solo più digeribile: se non perfettamente cotta, la rete di glutine trattiene i granuli di amido, consentendo una assimilazione più graduale, ma anche più nutriente. La giusta cottura ha il merito di preservare le caratteristiche dell’alimento, che altrimenti si disperdano nell’acqua o altrove. Cotture prolungate aumentano invece il rilascio dell’amido, a tal punto che la pasta risulta alla fine collosa e difficilmente digeribile in quanto deglutita senza un'adeguata masticazione.
5) È nata in Arabia e non in Cina
È questa l’origine della pasta, nonostante la falsa credenza che fu Marco Polo, di ritorno dalla Cina, a introdurre in Italia nel 1295 la pasta. In realtà ciò che il giovane esploratore importò erano i noodles, scambiati per spaghetti i quali a quei tempi facevano già parte della nostra cultura (culinaria) tanto che venivano prodotti in Sicilia, allora dominata dagli arabi, già da almeno due secoli. Esiste, al riguardo, anche una testimonianza di Abu Abd Allah Muhammed, cartografo alla corte di Ruggero II, re di Sicilia, che nel XII secolo cita una pasta secca a forma di fili, denominata ‘itriyya’ e prodotta nella colonia araba di Palermo. Unica diversità sta nel fatto che il noodle cinese era prodotto con farina di grano tenero o riso, mentre la pasta con grano duro.