La crisi dei giornali

Cinque ragioni per cui internet sta vincendo nell'informazione

Cinque ragioni per cui internet sta vincendo nell'informazione
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L’Agcom, l’autorità per le garanzie nelle comunicazioni, ha tenuto martedì 7 luglio una relazione alla Camera dei Deputati a proposito dello stato di salute dell’editoria italiana. È piuttosto superfluo, probabilmente, dire che il quadro disegnato dal presidente Cardani è davvero fosco: a tenere più o meno botta è rimasta solo la televisione, mentre radio e giornali stanno vivendo una situazione di profonda crisi, da cui, ed è questo il dato più preoccupante, non si è ancora capito come venirne fuori. Complessivamente, nel periodo fra il 2010 e il 2014, i media tradizionali (tv, radio, giornali) hanno perso ben 2 miliardi di euro, con un calo del 16 percento dei guadagni. Ora, è evidente che la grande causa di questo scombussolamento sia l’arrivo di internet e dell’informazione digitale diffusa: anche rispetto a questo, nulla di nuovo. Ciò che realmente lascia un po’ interdetti, come accennato, è l’incapacità attuale del mondo dell’informazione di discostarsi dagli strumenti tradizionali e di tuffarsi con criteri nuovi e adeguati nelle nuove modalità che il mondo sta prendendo nel fare comunicazione, così da trasformare il “male” (internet) definitivamente in una risorsa. Ma ora, anzitutto, qualche numero.

 

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I dati della crisi. Ragionando sui grandi e classici mass media, ovvero tv, radio e giornali, si registra un costante e inarrestabile crollo dei guadagni. Nel solo biennio 2013-2014, il calo è stato di più del 3 percento, con la televisione che tutto sommato limita i danni (-1,5 percento, anche per il fatto di non rivestire la sola funzione informativa, ma anche un ruolo sociale e culturale che ne mantiene sempre un discreto appeal), al contrario della carta stampata che ha perso circa l’11 percento. Sale, manco a dirlo, il digitate, e di ben 10 punti. Spostando l’attenzione sul periodo di riferimento generale della relazione (2010-2014), per quanto riguarda la tv l’offerta in chiaro produce ancora la parte più consistente di introiti (4,5 miliardi), ma è in calo del 3,3 percento, a differenza della pay tv che guadagna l’1,4 percento (a quota 3,3 miliardi). La radio passa da 628 milioni a 610 (-2,8 percento). Nell’ambito dell'editoria, i quotidiani passano da 2,2 a 2,1 miliardi (-5 percento), i periodici da 2,4 a 2 miliardi (-15,8 percento).

Questo corposo crollo di introiti è dovuto, in buona parte, a carenze nell’ambito che più di tutti dovrebbe, oggi, finanziare i mezzi di informazione: la pubblicità. Un settore profondamente in crisi, questo: l’andamento dei ricavi mostra una continua riduzione degli investimenti pubblicitari nel settore dell’informazione, passando dai 9,8 miliardi del 2010 ai 7,4 miliardi del 2014 (rispetto al 2013 il calo è contenuto a 54 milioni). Per quanto riguarda la tv, la componente pubblicitaria rappresenta la fonte di ricavo prevalente, pesando per oltre il 40 percento sulle entrate complessive. Nel mondo dei quotidiani, dove il calo delle vendite dovrebbe essere compensato proprio dalle pubblicità in maniera sempre crescente, i ricavi sono passati dai 941 milioni del 2010 agli 859 del 2014, quindi non solo non sono aumentati, ma sono persino calati del 9 percento. Si è accennato al calo di copie vendute: la perdita, al momento, è di 40 milioni di euro. Il valore complessivo della pubblicità online, invece, dopo una leggera flessione nel 2013, è tornato a crescere (del 10 percento) nell’ultimo anno. Gran parte di tale crescita è attribuibile all'incremento (del 13 percento) delle inserzioni pubblicitarie di tipo display (soprattutto di tipo social) e video.

Dunque, che fare? Dai dati presentati da Agcom, risulta chiaro come i metodi e i concetti tradizionali del fare informazione siano ormai irrimediabilmente un retaggio del passato. Il calo dei ricavi dei media classici, e il contestuale aumento di quelli del digitale pur in un contesto che non si è ancora realmente occupato della questione dell’online, dovrebbe rappresentare una molla decisiva per il mondo dell’informazione italiana, e in particolare per i quotidiani, nel decidere di considerare internet e tutti gli strumenti che offre non come un alieno invasore e minaccia di consolidate tradizioni, ma come una straordinaria risorsa da intendere in senso evolutivo, e non alternativo. Per il momento, però, le intenzioni in questo senso sembrano essere piuttosto prive di reale volontà.

 

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Le nuove leggi del giornalismo, secondo John Lloyd. «La rete, che continua a rivoluzionare la nostra esistenza quotidiana, sta trasformando il giornalismo in una professione nuova». Questa frase l’ha pronunciata, anzi scritta, John Lloyd, redattore del Financial Times. È un chiarissimo monito rispetto a quanto sta avvenendo, e spiega l’empasse e l’imbarazzo dei grandi quotidiani di fronte a un cambiamento tanto radicale da non essere stato ancora pienamente colto. Lloyd, allora, si prende la responsabilità di dettare le 5 leggi per cui oggi il mondo dell’informazione sta pendendo con sempre maggior vigore verso la rete: verrebbe da dire che conviene ascoltarlo.

1) Il primo grande vantaggio della rete è la possibilità di spacchettare, in maniera chiara e categorizzata, il contenuto del tradizionale quotidiano: la possibilità che ha un sito internet di offrire sezioni appositamente dedicata alla politica, allo sport, alla musica, alla salute e quant’altro toglie al lettore la costrizione di aver davanti tutto, anche cose di cui non è interessato, concentrato in unico prodotto da smembrare e scremare. Se l’interesse dell’utente è il cinema, internet ha la possibilità di fornire solo cinema.

2) La rete distrugge il modello di business su cui si basa il giornalismo, e in particolare i quotidiani. Gli utenti più (o meno) giovani disertano i quotidiani e le riviste di attualità a favore della rete, con conseguente calo della distribuzione. Gli inserzionisti si mostrano meno interessati ad acquistare spazi pubblicitari. I giornali sono costretti a ridurre il personale e il numero di pagine, causando un ulteriore calo nella distribuzione. La pubblicità su cartaceo, dunque, diventa più un problema che una soluzione.

3) L’inserzione pubblicitaria, per coloro che intendono sponsorizzare un proprio marchio o azienda, è molto più conveniente sul web: è più gradevole e di maggior impatto rispetto a un trafiletto in una pagina di un giornale, e spesso è addirittura ineluttabile (come ad esempio gli spot inseriti prima dei video di Youtube). Alle società, dunque, interesserà sempre di più pubblicizzarsi solo in rete, piuttosto che su carta.

4) La grande questione dei social network: sempre più persone prediligono Twitter o Facebook per informarsi piuttosto che il sito internet di un quotidiano, per non parlare dello stampato. Le testate devono fare i conti per forza con questa nuova tendenza, cercando il modo migliore per coniugare la notizia targata con il proprio nome e le funzionalità dei social.

5) Internet è infinitamente più completo. Su un giornale, rispetto ad una determinata materia, si possono reperire solo le informazioni del giorno stesso (la maggior parte delle volte oltretutto già “vecchie”), al massimo qualche approfondimento un poco più dettagliato. Sul web, invece, basta digitare una parola su Google o affini e si hanno a disposizione migliaia di siti da cui è possibile ottenere ogni tipo di informazione su uno specifico argomento, con in più il vantaggio dei supporti multimediali (immagini e video a volontà), che rendono il prodotto digitale naturalmente molto appetibile.

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