In un agriturismo

Clusone, condanna definitiva a 6 anni e mezzo per il titolare che violentò una lavapiatti

La difesa aveva insistito sul gesto occasionale e sulla precedente condotta irreprensibile dell’uomo, ma i giudici hanno ribadito la gravità del fatto confermando la condanna del 2019 e il risarcimento di 45 mila euro alla donna

Clusone, condanna definitiva a 6 anni e mezzo per il titolare che violentò una lavapiatti
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Una violenza sessuale ai danni della propria dipendente, consumatasi negli spogliatoi dell’agriturismo di cui era titolare: per questo reato la cassazione ha confermato in via definitiva ieri (martedì 19 aprile) la condanna a 6 anni e mezzo di carcere per P. R., 47enne di Clusone, a cui sono state negate le attenuanti generiche. L’uomo aveva parlato in aula di un «gesto occasionale» e di un «trattamento sanzionatorio eccessivo» per lui che era un «onesto padre di famiglia, sempre rispettoso delle regole». Un tentativo di attenuare la gravità del gesto che però non ha convinto i giudici, che oltre alla pena detentiva hanno confermato il risarcimento per la vittima pari a 45 mila euro.

Il fatto risale al 2017, quando secondo la ricostruzione dei carabinieri di Clusone la donna, una lavapiatti che lavorava in nero, era stata sorpresa alle spalle, mentre si stava cambiando nello spazio riservato al personale, dal suo datore di lavoro ed era poi avvenuta la violenza. Le conseguenze erano state il ricovero in ospedale e due mesi di prognosi. In seguito al reato, il condannato le aveva anche detto che se avesse accettato altri rapporti con lui, sarebbe stata messa in regola con il contratto.

In tribunale l’uomo ha cercato di difendersi, ricorrendo con il suo avvocato contro la sentenza della Corte d’Appello di Brescia dell’11 febbraio 2021 (il verdetto di primo grado è del 7 novembre 2019) e richiedendo le attenuanti generiche, facendo riferimento allo status di incensurato e alla condotta irreprensibile tenuta in precedenza dell’episodio. I giudici, tuttavia, hanno negato la sua richiesta per via dell’«assenza di elementi suscettibili di positiva considerazione, a fronte del disvalore della vicenda insito nel fatto che l’imputato ha compiuto una condotta illecita approfittando di una situazione lavorativa in cui egli si trovava in una posizione sovraordinata, essendo il datore di lavoro della persona offesa». La cassazione ha inoltre ritenuto giusto il risarcimento stabilito dalla Corte d’appello, pari a 45 mila euro, che la donna dovrà ricevere per i danni sia fisici che morali subiti a causa della vicenda, tenendo anche conto che l’imputato avrebbe approfittato della sua situazione di difficoltà economica e della necessità di badare a due figli piccoli. Nel suo percorso verso la denuncia, era stata assistita da medici e assistenti sociali proprio a causa del terribile trauma subito.

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