Un'indagine canadese

È colpa dei neuroni se scegliete un hamburger anziché l'insalatina

È colpa dei neuroni se scegliete un hamburger anziché l'insalatina
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Altro che gusto. Sulle scelte alimentari a farla da padrone sarebbero soprattutto calorie e cervello: ovvero davanti a un grosso e grasso hamburger o un piatto di insalata slim, i neuroni non hanno dubbi. Si affamano cioè del piatto più appagante, vale a dire quello con un maggiore contenuto energetico.

Ecco perché cadono con tanta facilità tutti i buoni propositi di mantenere la linea e va a farsi friggere la nostra consapevolezza che mangiare caloricamente pesante fa male alla salute. Lo ha dimostrato uno studio canadese, dell’Università di Montreal, pubblicato su Psychological Science.

Il cervello preferisce (e cerca) le calorie. Il cervello sembra una sorta di cane da tartufo, o per essere un po’ più tecnologici, un robot dotato (inconsciamente) di un contatore di calorie che non lo inganna. Ma che agisce, ahimè, all’inverso, privilegiando cioè, davanti allo scaffale di un supermercato e poi alla dispensa di casa, i cibi meno sani, perché più ricchi di grassi, zuccheri, conservanti. Insomma il cervello sceglie, per soddisfarsi, di vero e proprio junk-food (cibo spazzatura).

 

 

E così, involontariamente e sotto un impulso ignoto, la nostra mano sarebbe portata ad afferrare proprio quel cibo più nocivo per la linea e la salute, ma tanto gustoso cerebralmente. Come si spiga tutto questo? Alla base del particolare fenomeno vi è l’input della corteccia prefrontale mediale, ossia di una parte del sistema limbico che regola i meccanismi di “ricompensa” e che si rende quindi gestrice della scelta cibaria, a dispetto delle regole della piramide alimentare, della buona tavola, della dieta mediterranea e di tutto il resto.

Lo studio. È questo ciò che dimostra la ricerca canadese; benché  i numeri dell’indagine sono piccoli, gli effetti sono comunque molto chiari. 29 soggetti normopeso analizzati (indice di massa corporea inferiore a 25) sono stati invitati a partecipare ad un esperimento visivo: dovevano, cioè, esaminare le immagini di cinquanta diversi alimenti - venti light e trenta ad alto contenuto energetico – ed esprimere il piacere su una scala da uno a dieci e stimare l’apporto energetico del cibo cui stavano di fronte. Poi sono stati sottoposti a una risonanza magnetica cerebrale, durante la quale sono stati invitati a valutare nuovamente le singole pietanze e anche ad enunciare il costo massimo che sarebbe stati disposti a spendere per acquistare o gustare l’alimento di loro gradimento.

 

 

Incrociando le scansioni cerebrali con i dati ottenuti utilizzando il metodo di Becker-Deroot-Marschak (che stima quanto un individuo si spingerebbe a pagare per possedere un bene), i neurologi canadesi hanno potuto osservare che il contenuto calorico dei cibi, sebbene spesso non sia noto nel dettaglio ai consumatori, è il moto conduttore che condiziona le risposte neurali di chi è chiamato a compiere una scelta. A questo componente neuronale dominante si assommerebbero poi (ma solo in un secondo tempo) anche gli aspetti emotivi, psicologici, sociali ed endocrini.

Il marketing. Sara furbizia, intuito o altro, ma gli uomini del marketing questo processo lo hanno capito e sfruttato da tempo, facendo leva proprio sul cervello e su tutti gli altri fattori implicati. Non è un caso infatti che nelle ore di punta si tendano a pubblicizzare in tv gli snack (spesso più economici) piuttosto che la frutta e la verdura; o che la disposizione degli alimenti nei supermercati ponga proprio vicino alle casse dolci e gustose schifezze che stuzzicano i palati dei piccoli e la golosità dei grandi. Dinamica che, dal punto di vista salutistico, va assolutamente rivista. Aumentandone i prezzi, è il suggerimento dei ricercatori di Montreal, si indurrebbe un minore consumo.

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