Uno sguardo da oltre le Mura

Come cambia la Bergamo di Gori L'Espresso lo racconta così

Come cambia la Bergamo di Gori L'Espresso lo racconta così
Pubblicato:
Aggiornato:

Quando Giorgio Gori, nel giugno 2014, si insediò a Palazzo Frizzoni, fece una promessa: Bergamo avrebbe cambiato passo. A distanza di due anni si può dire che, effettivamente, la città è molto diversa. L'operoso capoluogo orobico, quello che ha sempre fondato la propria forza sul solido terreno industriale e bancario, oggi si trova davanti a uno scenario del tutto nuovo: improvvisamente risvegliatasi senza più banche (del caso Ubi se ne è parlato a lungo) e senza più una delle sue più importanti aziende (la Italcementi), Bergamo ha capito che aprirsi al mondo non era poi un'idea così cattiva. Anche perché, quando hai a pochi chilometri di distanza il terzo aeroporto più trafficato d'Italia, qualche vantaggio lo puoi anche trarre. E così, ai piedi e per le strade di Città Alta, si è iniziato a guardare con simpatia al turismo, alla cultura, a strade economiche fino ad oggi rimaste inesplorate. In questo scenario, Gori si trova in una posizione privilegiata: ha la possibilità di mantenere veramente la promessa fatta nel giugno di due anni fa. Un'occasione d'oro, soprattutto per un politico le cui ambizioni, molto probabilmente, non si fermeranno a Bergamo. Molti parlano di Regione, ma c'è anche chi guarda più in alto, ovvero a Roma.

Per noi bergamaschi, però, ogni tanto diventa complicato parlare e scrivere della nostra città con il dovuto distacco. Diventa difficile raccontare dall'interno una trasformazione innegabile. A venire in nostro aiuto, questa volta, è L'Espresso, che il 5 luglio ha dedicato un lungo e interessante articolo (a firma di Gianfrancesco Turano) proprio a Bergamo, ai mutamenti che la città sta vivendo e al principale protagonista di questa fase storica cittadina, ovvero il sindaco. L'articolo si intitola "Che succede nella Bergamo di Giorgio Gori" e prova a dipingere un quadro il più completo possibile di ciò che sta accadendo a Bergamo. Osservando però il tutto da un po' più in là delle Mura. Abbiamo deciso di riproporvelo.

 

 

 

Che succede nella Bergamo di Giorgio Gori

Dal laminato piano al turismo culturale all inclusive il passo è lungo anche per gente che non si spaventa del lavoro in ogni sua declinazione, come i bergamaschi. In una città dove per decenni la crescita è stata affidata alle acciaierie della Dalmine e all'Italcementi, con effetti psicoeconomici su una popolazione rinomata per la sua chiusura al resto del mondo, tira un'aria di movida in stile Barcellona che fino a qualche anno fa sarebbe stata impensabile.

La soluzione è cinque chilometri a sud-est. L'aeroporto di Orio al Serio, terzo in Italia per numero di passeggeri (10,4 milioni nel 2015) continua a crescere in modo sfrenato. Nonostante la fine della kermesse di Expo 2015 nel primo trimestre 2016 sono sbarcati 2,4 milioni di passeggeri (+10,4 per cento).

Solo un quinto di questo traffico annuale (2 milioni) rimane in vacanza a Bergamo e provincia. Ma quando Bloomberg Business Week, la bibbia settimanale del capitalismo Usa, apre la sua rubrica dedicata a viaggi e vacanze per milionari con un servizio sul Lago d'Iseo, è segno che qualcosa si sta muovendo in fretta al di là della passerella piazzata da Christo sulla sponda bresciana del lago.

Che la città sia ben tenuta non è discutibile, né può dirsi una novità. Al non bergamasco, e anche a gran parte dei nativi, può sembrare lunare la querelle eterna sui vantaggi concessi alla Città Alta, dove vivono i patrimoni antichi e recenti. I commercianti della zona bassa e relativamente povera lamentano le troppe attenzioni dedicate dall'amministrazione comunale alla rocca medievale e sostengono di essere in difficoltà per la concorrenza del grande mall di Orio con i suoi satelliti.

Ma lungo via San Bernardino, città di sotto, si incontrano locali eleganti e la giusta dinamica dei fluidi di passeggio che sempre più spesso risuonano di lingue dell'Europa, visto che Bergamo è in testa alle classifiche dell'ospitalità per gli studenti in Erasmus.

Continuando a salire per via Sant'Alessandro, il patrono, si entra in un mondo a parte che è città bassa ma quasi alta dove, in un tardo pomeriggio feriale, passa una macchina, poi tre minuti di uccellini, un'altra macchina e altri tre minuti di uccellini. In cima si apre porta San Giacomo, il varco nelle mura dove ancora campeggia il Leone di Venezia. La modernità riaffiora lungo la vasca di via Gombito-via Colleoni dove appaiono i cartelli che segnalano il wi-fi gratuito in tutta la città oltre a un quantitativo inquietante di defibrillatori.

Detto che c'è chi sta peggio, una defibrillazione del tessuto economico si è resa necessaria per trascinare la città fuori dal suo isolamento. L'apertura di Bergamo spetta alla scoperta di una fragilità molto poco bergamasca, in linea di principio.

Senza andare troppo indietro al tempo della cessione della Dalmine alla Tenaris dei Rocca e del takeover sul Credito Bergamasco (Creberg) da parte dello scalatore di Garbagnate Ernesto Preatoni, la città si è trovata nel giro di un biennio ad assorbire i problemi dell'impero commerciale Lombardini, la crisi generale del settore edilizio e il trauma della cessione di Italcementi dalla famiglia Pesenti ai tedeschi di Heidelberg Cement con 430 esuberi.

 

Gori1.

 

A giugno del 2014, proprio mentre il sindaco Giorgio Gori metteva per la prima volta la fascia tricolore, il Creberg è stato assorbito dal Banco Popolare e, pochi giorni fa, i soci bergamaschi sono rimasti senza rappresentanza nella nuova formazione tra Banco Popolare e Bpm.

L'ex Popolare di Bergamo, dominata a lungo da Emilio Zanetti, è finita dentro Ubi. Il nuovo istituto ha conservato la sede dietro viale Roma, in città bassa, e mantiene un bergamasco alla guida del consiglio di sorveglianza, Andrea Moltrasio, ma non è più un affare riservato ai locali che lo scorso febbraio hanno voluto distinguere la loro voce dal coro riunendosi in un “patto dei mille” guidato da Zanetti in persona. Fra gli azionisti, che controllano il 2,3 per cento della banca, c'è il nocciolo duro dell'economia cittadina con l'industriale meccano-tessile Miro Radici, presidente di Sacbo, Alberto Barcella, numero uno della Mobili Barcella, i Pesenti, il patron dell'Atalanta Antonio Percassi, i Bosatelli della Gewiss, Gianfranco Andreoletti (materie plastiche), Matteo Tiraboschi di Brembo e, dulcis in fundo, la potente e ricca diocesi di Bergamo.

Il sindaco democrat, il molto mediatico Gori, non vuole sentire parlare di deindustrializzazione, di debanchizzazione, di demaguttizzazione (magut è l'inarrestabile muratore di Bergamo). Ma in fondo non gli dispiace amministrare da due anni una città che si sta trasformando in qualcosa di completamente diverso dopo un quinquennio di amministrazione di destra con l'ex missino Franco Tentorio.

Gori ha una biografia molto da self made Bergamo man. Figlio di un dipendente della Montedison, ha frequentato le scuole medie nella Mestre avvelenata dal petrolchimico, ma ha saputo costruirsi una strada fino a una delle dimore più lussuose della Città Alta, in via Porta Dipinta.

Cattolico praticante ed ex di “Azione e libertà” al liceo classico Paolo Sarpi, un movimento che si riuniva nella sede del partito liberale dove, negli anni Settanta, c'erano solo lui, Andrea Moltrasio e alcune ginnasiali innamorate, Gori è ospite fisso dei rotocalchi grazie al matrimonio con l'anchorwoman Mediaset Cristina Parodi. È un ex manager Mediaset lui stesso e inventore di format tv con Magnolia, che ha fondato nel 2001. Oggi Gori ha 56 anni e nessuna intenzione di essere un po' meno ambizioso di quanto sia stato per tutta la vita.

Continua a leggere su L'Espresso

Seguici sui nostri canali