Il fenomeno "Making a murderer"

Come ha fatto una serie tv Usa a rivalutare la condanna di un killer

Come ha fatto una serie tv Usa a rivalutare la condanna di un killer
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Una petizione firmata da 300mila americani sta per essere recapitata sui tavoli della Casa Bianca, costringendo, forse, Barack Obama a rivedere il processo di un uomo che da anni è al centro di una complicata vicenda giudiziaria. Nel 1985, Steven Avery fu condannato per violenza sessuale per essere poi liberato a diciotto anni dalla sua incarcerazione grazie a un test del dna capace di scagionarlo in modo inoppugnabile. Dopo la sua richiesta allo stato del Winsconsin di un risarcimento pari a 36 milioni di dollari, seguì però, nel 2005, la sorpresa di una nuova condanna per un nuovo e più grave crimine: omicidio con occultamento del cadavere. Deus ex machina ancora il suo dna.

Il caso giudiziario e lo show. La faccenda è seria, ma non incredibile. Non abbiamo bisogno di scomodarci fino ad una lontana contea del  Winsconsin, per accalorarci di fronte ad un’interminabile storia di cronaca nera. Casi analoghi non mancano nel nostro Paese e tanto ci basta. A rendere peculiare quello di Steven Avery è il fatto di essere al centro anche di uno dei più seguiti e chiacchierati show-documentario del momento, Making a Murderer, trasmesso dalla piattaforma di streaming Netflix. A maggior ragione, quindi, che l’appello a Washington nasca dalla mobilitazione collettiva dei fan della serie, che ora si schierano per il riscatto di Avery.

 

https://youtu.be/34M2zdLc-2U

 

Come è nata la serie. Making a Murderer. Non è spoiler, perché il titolo parla chiaro. Le autrici della serie sostengono una tesi innocentista. Il progetto nasce dieci anni fa, quando l’attenzione di due ragazze, all’epoca poco più che studentesse, Laura Ricciardi e Moira Demos, è catturata da un articolo del New York Times datato 23 novembre 2005. Il titolo recita: «Liberato dal Dna, ora accusato di un nuovo crimine». Lo stralcio di giornale spinge le due ad avventurarsi in una video-indagine investigativa in dieci episodi, realizzati sulla base di documentazioni, testimonianze dirette, presunte omissioni e depistaggi, attraverso cui si ripercorre un’oscura sequenza di fatti, che rimanda a tematiche evergreen: la fallacia del sistema giudiziario e uno scenario mediatico collusivo. Ad incorniciare due anni e mezzo di riprese, lo spaccato di una certa società americana incolta, retrograda e discriminante.

 

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Il successo della serie. Sembra che in America non si parli d’altro, che la sera a cena con gli amici si preferisca discutere di Making a Murderer: sarà innocente? Perché lo credi? Non è sconcertante? Nel creare schiere di proseliti ci hanno messo lo zampino anche note star di Holliwood e dintorni, come la sceneggiatrice premio Oscar di Thelma&Louise, Callie Khouri, che ha visto la serie due volte; l’autore de L’Esorcista e de Il braccio violento della legge, William Friedkin, che lo definisce «uno dei migliori documentari mai realizzati». O, ancora, Zach Braff, volto protagonista di Scrubs, il quale ha invitato i suoi follower su Twitter a far della serie un sol boccone, secondo le regole del blinge-watching - appunto le maratone di puntate, possibili grazie allo streaming e ora, con Netflix, anche legali.

 

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Il True Crime. Making a Murderer è già stato iscritto dai critici al True Crime, un genere che conta precedenti anche nell’ambito delle serie tv, come The Jinx. Rispetto a quest’ultima, suggestive analogie e differenze. In entrambe la tv contribuisce a governare il timone della giustizia:  in The Jinx, Robert Durst, membro dell’upper class di Manhattan, viene infatti arrestato dopo una sua ammissione di colpevolezza, inavvertitamente pronunciata nel corso dell’ultima puntata. Una specie di  storia alla Forst-Nixon, perché anche l’ex presidente fu costretto alla confessione dei suoi errori nello scandalo Watergate, una volta messo alle strette nel corso di un un’intervista in diretta. Così per Making a Murderer: una serie tv forse cambierà le sorti di Avery, anche se questa volta a suo favore.

Truman Capote. Come è stato fatto giustamente notare, capostipite del True Crime può considerarsi Truman Capote, il fortunato autore di Colazione da Tiffany, che, al pari delle autrici di Making a Murderer, venne sospinto nel Kansas ad indagare per anni su un efferato crimine da un trafiletto del New York Times. Ne nacque il “romanzo-verità” A Sangue Freddo, primo di un genere letterario di cui il True Crime può considerarsi la trasposizione televisiva. Da rilevare però un’importante differenza, che senz’altro contribuisce al fascino e al successo di queste serie: la partecipazione dello spettatore ad un percorso in fieri, in cui non è ancora stata pronunciata l’ultima parola.

 

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