A LUGLIO VOTO ALLA CAMERA

Come sarà il nuovo Senato

Come sarà il nuovo Senato
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Venerdì 20 giugno è stato trovato l’accordo tra maggioranza, Forza Italia e Lega circa gli emendamenti al disegno di legge costituzionale che porterà al superamento del bicameralismo perfetto, alla riduzione del numero dei parlamentari ed alla revisione di parte della Costituzione. Gli emendamenti, firmati a quattro mani da Anna Finocchiaro (Pd) e Roberto Calderoli (Lega), sono stati depositati in commissione Affari Costituzionali. Entro luglio si arriverà al voto in aula e prenderà il via l’iter delle quattro votazioni necessarie per l’approvazione della legge. I singoli parlamentari avranno tempo fino a mercoledì per presentare i propri emendamenti.

 

La composizione del nuovo Senato.

Attualmente il Senato presenta 315 membri, che diventeranno 100 dopo l’entrata in vigore della legge costituzionale, più precisamente 95 più 5: 95 membri verranno eletti dai Consigli Regionali per rappresentare Regioni e Comuni, di cui 74 saranno scelti tra i consiglieri regionali e 21 tra i sindaci in carica. Maggiore è il peso demografico di una Regione, maggiore sarà il proprio numero di senatori. I restanti 5 membri verranno invece eletti su nomina del Presidente della Repubblica e tra questi rientrano i senatori a vita. Il metodo di elezione non è stato risolto dall’accordo e sarà una successiva legge ordinaria a stabilirlo.

 

Poteri e funzioni.

Il nuovo Senato non avrà il potere di dare la fiducia al governo ed eserciterà solamente una funzione di raccordo tra Stato ed istituzioni territoriali. I senatori resteranno in carica per il tempo in cui saranno legati all’organo territoriale in cui sono stati eletti. Sarà esclusivamente la Camera, titolare del rapporto di fiducia con il governo, ad esercitare la funzione legislativa. Il Senato, dunque, non potrà più approvare leggi, ma solo richiedere delle modifiche dopo aver richiesto, entro 10 giorni dall’approvazione della Camera e con almeno un terzo dei propri membri, l’esame delle stesse. L’ultima parola resta però a Palazzo Montecitorio. Più poteri, invece, per quanto riguarda le leggi con impatto su Regioni e Comuni: in questo caso, se il Senato richiede delle modifiche, la Camera dovrà pronunciarsi a maggioranza assoluta. Palazzo Madama mantiene le attuali competenze legislative per quanto riguarda le riforme costituzionali, mentre avrà poteri di controllo sull’attuazione delle leggi, poteri di valutazione sull’attività delle Pubbliche Amministrazioni e controllerà e valuterà le politiche pubbliche. Potrà infine partecipare alle decisioni riguardanti la formazione e l’attuazione degli atti normativi dell’Unione Europea.

Resta l’immunità.

L’emendamento presentato dalla Finocchiaro e da Calderoli che fa più discutere è il reinserimento dell’immunità per i senatori, che era invece stata eliminata nell’iniziale disegno di legge. Niente arresto, nessuna intercettazione o perquisizione senza autorizzazione: le guarentigie che il governo aveva precedentemente confermato solo per i deputati sono state nuovamente allargate anche ai senatori attraverso l’eliminazione dell’articolo 6 della riforma che andava a modificare l’articolo 68 della Costituzione. Le attuali immunità parlamentari rimarrebbero dunque invariate.

Le altre novità.

Oltre alla riforma del Senato sono diverse le novità presenti nel disegno di legge. Previsto il divieto di approvare emendamenti estranei all'argomento dei decreti durante il loro esame parlamentare, ma cambia soprattutto il rapporto delle competenze tra Stato e Regioni, che viene molto semplificato per eliminare i motivi di conflitto che tante difficoltà hanno creato ai tribunali italiani nell’ultimo decennio: tornano di competenza esclusiva dello Stato le materie più importanti come l’immigrazione, la difesa e la gestione dell’energia, mentre spetta alle Regioni le materie riguardanti il territorio, come l’organizzazione dei servizi sociali e sanitari. Tagli nelle retribuzioni dei consiglieri regionali, che non potranno guadagnare più dei sindaci, e vengono fissati in Costituzione, sotto il nome di “indicatori di riferimento”, i costi standard che le Regioni non potranno superare, con l’intento di evitare inutili sprechi. Vengono definitivamente abolite le Province dal testo costituzionale, mentre sale da 50 mila a 300 mila il numero di firme richieste per i referendum popolari.

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