I sintomi e i farmaci

Come si diffonde l'ebola

Come si diffonde l'ebola
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Martedì 30 settembre è stato diagnosticato il primo caso di Ebola negli Stati Uniti: si tratta di un uomo liberiano, arrivato negli Usa il 20 settembre, a quanto pare senza avere ancora alcun tipo di sintomo. Ma nel giro di pochi giorni ha cominciato a manifestare alcuni segni della malattia; è stato quindi ricoverato presso l’ospedale di Dallas, dove, in seguito agli accertamenti, è stata diagnosticata proprio l’ebola. Non è il primo caso verificatosi al di fuori dell’Africa nelle ultime settimane, e va ad aggiungersi alle migliaia di persone già infette nella zona dell’Africa Occidentale (di cui, secondo l’Oms, 3mila sono già decedute).

 

diffusione ebola in africa

 

Come si diffonde l’ebola. Il primo, fondamentale dato da conoscere circa la diffusione dell’ebola riguarda la contaminazione diretta: solo nel caso in cui si entri in contatto con alcuni fluidi organici di un individuo infetto (come sangue, feci, sudore) si rischia la contrazione della malattia; non è quindi un virus che si propaga nell’aria, come ad esempio il raffreddore o l’influenza, ma da un punto di vista del contagio assomiglia molto di più a malattie come l’Aids. Ecco perché le persone a rischio non sono tanto coloro che condividono con il soggetto infetto una carrozza della metropolitana o l’abitacolo di un aereo, quanto gli individui che vivono a stretto contatto con lui, come i membri del nucleo famigliare.

 

sintomi ebola b

 

Quali sono i sintomi. Occorre anzitutto evidenziare i sintomi che possono significare la comparsa del virus in un soggetto: in prima analisi, si tratta di malanni assolutamente comuni, come la febbre, i dolori muscolari, il mal di gola o il mal di testa. Il passaggio successivo prevede il presentarsi di emorragie sia interne che esterne, nonché di attacchi di vomito, dolori al petto e disfunzioni renali ed epatiche. Questo è esattamente il momento in cui bisogna fiondarsi in ospedale e procedere con i cinque test che permettono di chiarire se si è in presenza di un caso di ebola o meno. Qualora l’esito delle analisi risultasse positivo (si fa per dire), occorre immediatamente procedere con le cure, su cui ancora non c’è alcun tipo di certezza di riuscita. Naturalmente, il paziente deve essere isolato e sottoposto a tutti gli accorgimenti necessari per mantenere gli equilibri corporei sotto controllo: idratazione esterna, mantenimento di ossigeno e pressione sanguigna a livelli fisiologici.

Che farmaci utilizzare. Ora, il momento più difficile: che farmaci utilizzare? Alcune settimane fa, a due cittadini americani contagiati dall’ebola è stato somministrato lo ZMapp, un medicinale fino a quel momento utilizzato solo sulle scimmie e mai sugli esseri umani, che però ha avuto ottimi riscontri sui due pazienti, salvando loro la vita. Ma questo successo non deve entusiasmare: in primo luogo poiché, avendo l’ebola ormai generato a tutti gli effetti un’epidemia di massa, è ben diverso utilizzare un farmaco su singoli individui e in condizione ospedaliere apposite piuttosto che somministrarlo in quantità enorme ad un numero indiscriminato di persone; in secondo luogo, perché l’azienda farmaceutica di San Diego produttrice dello ZMapp ha già fatto sapere che le riserve di questo farmaco sono decisamente limitate, trattandosi comunque ancora di un farmaco sperimentale.

Negli Usa sono stati comunque da tempo avviati numerosi progetti di ricerca per arrivare alla creazione di un farmaco adeguato alla cura dell’ebola, con collaborazioni addirittura legate al Ministero della Difesa statunitense. Di certo, occorre fare il più in fretta possibile, vista l’ecatombe che già si sta verificando in paesi come Uganda, Liberia, Guinea e Sierra Leone e gli inizi di diffusione su scala mondiale del virus.

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