L'editoriale di Ettore Ongis

Comitato di resistenza del Natale (non permettiamo al Covid di rubarci anche questo)

Dobbiamo zittire tutte le cassandre che vogliono rovinare la festa a priori. Nessuna follia, ma fare le cose per bene, con saggezza, nella consapevolezza che la felicità dello stare insieme è un antidoto alla tristezza che in questo 2020 tante volte ci ha piegato le gambe

Comitato di resistenza del Natale (non permettiamo al Covid di rubarci anche questo)
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di Ettore Ongis

Quando è nato Gesù il Covid non c’era ma non è che le cose andassero benissimo. Maria e Giuseppe hanno dovuto davvero arrangiarsi, perché la grande città non aveva certo riservato loro una bella accoglienza, tanto più che lei si presentava con un bel pancione da nono mese di gravidanza. Oggi probabilmente troverebbero un mondo un po’ più sensibile, con l’unica variante che ovunque andassero a bussare sarebbero costretti alla prova del tampone. Con il rischio che si ripeta la storia di allora: porte sbarrate e rifugio di fortuna nel freddo dell’inverno. E per di più il lockdown rende “proibito” l’omaggio dei pastori e dei Re Magi che, oltretutto, non potrebbero varcare i confini da una regione all’altra.

È un gioco di immaginazione, che però rischia di essere una prefigurazione di qualcosa di reale. Il Natale 2020 nasce infatti “ingabbiato”. Da tutte le parti si lanciano minacce contro gli assembramenti familiari, visti come una possibile sciagura che ridà fiato al Covid. È una campagna martellante, fatta di avvertimenti che stendono nuvole nere sul nostro Natale. Si auspicano regole che prendono possesso anche della vita di casa, gestendo rigidamente quel che si può e non si può fare per il cenone. Il premier Conte, quasi per giustificarsi di questo pressing mediatico contro il Natale, ha fatto un’uscita disgraziatissima: ha detto che il Natale è un momento di raccoglimento spirituale, e che il raccoglimento non viene bene se fatto con tante persone. Quindi, secondo il nostro capo del governo, un Natale in solitaria sarebbe un Natale anche migliore. Ma un Natale in solitaria è cosa da non augurare neanche al peggior nemico e tanto meno a lui, che continua comunque a godere della stima degli italiani, come assicurano i sondaggi.

Non possiamo permettere al Covid di rubarci anche il Natale. Già ha fatto tanti danni al corpo e al morale delle persone. Riuscisse anche ad ingabbiare la felicità di quel 25 dicembre, sarebbe un vero disastro. Per questo dobbiamo zittire tutte le cassandre che vogliono rovinare la festa a priori. E prepararci a una resistenza a oltranza. Il che non vuol dire fare follie, ma fare le cose per bene, con saggezza, nella consapevolezza che la felicità dello stare insieme per il cenone o per messa della notte, è un provvidenziale antidoto alla tristezza che in questo 2020 tante volte ci ha piegato le gambe. Dobbiamo fare resistenza, pretendere di poter vivere la bellezza del Natale, magari a costo, come ha detto saggiamente l’arcivescovo Matteo Zuppi rispondendo al premier Conte, di fare «come i pastori e incamminarci all’aperto per trovare il modo di arrivare alla nostra Betlemme». All’aperto, al freddo, ma insieme. Il Natale è una festa al plurale, di popolo e di famiglia. Senza popolo e senza famiglia non c’è Natale.

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