Visita al padiglione del Giappone (per chi rinuncia causa coda)
Meno 27 giorni alla chiusura di Expo. E chi finora non c'è l'ha fatta, difficilmente potrà rimediare: il padiglione più ambito, quello del Giappone, resterà per tanti una chimera. Ogni giorno le code si contano ad ore. E anche chi entra a precipizio appena aprono i cancelli di Expo, è facile che si trovi subito con un paio di ore di attesa, come se la coda non si fosse mai sciolta, neppure di notte. Non sono più i bei tempi di maggio e giugno, quando il cartello segna tempo al massimo indicava i 50 minuti e la casella delle ore restava vuota. Ora l'assalto ad Expo continua senza pause e senza respiro, come dimostra il dato di settembre, di 4,5 milioni di visitatori, che voglio dire 150mila al giorno. E ottobre è iniziato su medie ancora più alte.
Meglio farselo raccontare. E allora non resta che farselo raccontare questo mitico padiglione che vale anche sette ore di attesa. Cos'ha di tanto attrattivo? Innanzitutto la struttura architettonica è molto affascinante, con i suoi 17mila pezzi di legno incastrati l'uno all'altro, che lasciano filtrare all'interno luce naturale. Lo ha progettato l'architetto Atsushi Kitagawara ed è sicuramente uno dei più centrati, a partire dal tema che affronta: “Diversità Armoniosa". Al centro c'è il cibo e lo stile di alimentazione giapponese, proposto come modello globale per il futuro. All'ingresso viene chiarita subito la filosofia dell'installazione. Spiegano le guide: «Nelle diversità coltivate nel nostro Paese vi è una grande potenzialità per contribuire alla risoluzione di questioni globali, come le risorse nutrizionali». Il logo del padiglione riprende il motivo dell’Iwaiba, un bastoncino che viene usato a tavola per le occasioni di festa, con le estremità più sottili. L'Iwaiba in questo caso è stato disegnato per richiamare la E della scritta Expo.
Non siamo a Rho, ma in Giappone. Il percorso poi si presenta per ambienti che confluiscono uno nell'altro per rendere molto fluide le sensazioni dei visitatori. Si inizia da una sala con rappresentazioni di stampe giapponese e un suggestivo video con forme di vegetali e animali che si fondono armoniosamente. È una stanza di preparazione psicologica, come pure la successiva, dove con filmati che coprono tutto lo spazio (grazie ad un sistema di video mapping), pavimento compreso, ci si trova davvero immersi nell'ambiente delle risaie giapponesi. A questo punto il climax è stato completamente creato: non siamo più a Rho, ma in Giappone. Ci troviamo in un mondo un po' dematerializzato e possiamo quindi entrare nel macrocosmo del cibo giapponese. È la cosiddetta "Cascata della Diversità”, un’installazione suggestiva che simula l’effetto di una cascata blu di acqua che cade dal soffitto e in mezzo alla quale scendono anche informazioni su agricoltura, cibi e cultura alimentare giapponese.
E alla fine si mangia. Lo spazio successivo è forse il più curioso: una serie di teche verticali presentano con effetto molto "grafico" le componenti della tavola giapponese. Aprendo i cassetti in basso compaiono i piatti che nascono dall'assemblaggio di quelle componenti. L'ambizione chiara è quella di dimostrare che l'alimentazione del Sol Levante è quella in grado di sfamare miliardi di uomini senza sfiancare la terra, senza prosciugare tutte le sue risorse. I quattro globi dello spazio successivo sono interattivi e ad ogni problema con cui oggi ci si trova a che fare, c'è sempre la corrispondente soluzione giapponese. Alla fine ci si mette a tavola. Su tavoli ovviamente virtuali, dove le portate sono ologrammi e dove le bacchette fanno da mouse. Ovviamente è il preludio al ristorante vero e proprio, dove con le bacchette si mangia davvero, con spesa abbastanza modica di circa 20 euro.