Cosa ha detto Ferruccio de Bortoli martedì in Santa Maria Maggiore

Foto di Clara Mammana e Luca Baggi
«Parlare alla pancia della gente porta voti, non soluzioni, e accresce il clima di confusione e preoccupazione. Ma a farne le spese sono i poveri, come sempre». Questa è la premessa di Daniele Rocchetti, segretario provinciale delle ACLI di Bergamo, alla conferenza di martedì sera in Santa Maria Maggiore, nel quarto anno della giornata delle vittime dell’immigrazione. «Bisogna spingere l’analisi oltre il contrasto tra sostenitori e contrari all’accoglienza», verso due dati indiscutibili: «Da una parte la fuga di chi cerca scampo dalla guerra, dalla fame e dalla miseria, e dall’altra la crisi demografica di un’Europa sterile di figli». La domanda che resta è questa: «Da che parte vorreste trovare i credenti: tra chi alza muri o chi getta ponti?». A rispondere sono Ferruccio de Bortoli, due volte direttore del Corriere della Sera e de Il Sole 24 Ore, e Don Giovanni Nicolini, parroco della Dozza, quartiere periferico di Bologna.
DIRETTA AUDIO Don Nicolini e De Bortoli
La diretta audio dell'appuntamento di ieri sera con Don Nicolini e De Bortoli #dariascoltare
Pubblicato da Molte fedi sotto lo stesso cielo su Mercoledì 4 ottobre 2017
Le parole di de Bortoli. De Bortoli ha un tono pacato, ma fermo. È pur vero che la globalizzazione e la libera circolazione di merci e capitali hanno incentivato il movimento delle persone, «ma non dobbiamo dimenticare che uno studioso come Massimo Livi Bacci ci dice che questa non è che la quarta globalizzazione della storia». Se prima i flussi erano rivolti alle nuove terre, «oggi, dopo mezzo millennio, è l’Europa la terra promessa». Il problema centrale è che l’integrazione produce uno spaesamento e un disorientamento tale che «le persone non si sentono più a casa propria».
Ma non esiste, prosegue de Bortoli, che si faccia un passo indietro: «Non si favorisce l’integrazione rinunciando alla nostra identità. Un passo indietro è sintomo di debolezza, perché non permette di chiarire le posizioni nel dialogo tra religioni diverse». Questo fenomeno cambierà la società così come l’abbiamo conosciuta finora, ma pur se come cristiani bisogna restare aperti «dobbiamo comunque guardarci da una società disordinatamente multiculturale». Siamo i primi a potere e dovere essere cittadini del mondo, «Senza perdere la bellezza delle nostre radici, dell’identità e dei principi civili. Ma dobbiamo esserlo in maniera consapevole: le braccia devono essere aperte nella misura in cui siamo in grado di accogliere».
Le parole di don Nicolini. Don Giovanni è d’accordo, anzi di più: «Per me Ferruccio de Bortoli è un maestro di laicità», che i cristiani dovrebbero accogliere come capacità di «comunicare in un linguaggio comprensibili e accettabile da tutti lo splendore della sapienza di Dio». Questa sapienza è «al cuore della nostra fede: la religione non è il nostro andare in su, bensì il Suo essere piegato verso di noi, immerso nella nostra umanità». Non bisogna preoccuparsi di divinizzare l’umanità, ma dell’umanizzarsi di Dio: «Chiunque arriva va osservato con molta attenzione, perché probabilmente è un regalo».
Basta prendere una carta dell’Africa e osservare i confini degli Stati, tracciati con delle linee grossolane e approssimative, per capire che non è sicuramente opera delle popolazioni locali. «Noi siamo andati da loro per primi, non da fuggiaschi o per fame, ma con le armi. Questo primo passo non può essere dimenticato: li abbiamo invasi per costruire i nostri imperi». E prosegue: «Ci portiamo dietro una storia che ci condiziona e credo che uno sforzo culturale e un’attenzione umile e intelligente ci consentirebbero di essere meno violenti, meno chiusi e meno volgari». Proprio questa nostra storia omogenea, sicuramente di più di quella delle altre popolazioni, fa sì che «ogni straniero sia sempre troppo diverso per noi».




«L'Italia resta un buon esempio». Nel dibattito politico, prosegue de Bortoli, «Si prendono voti raccontando spesso una verità che non esiste e un'invasione che non c’è nei numeri, sollecitando paure che pure sono giustificate. È un sentimento inevitabile in un mondo che ha paura della globalizzazione, ma trovo del tutto irresponsabile agitare le paure per costruire muri e fili spinati». Questo, fortunatamente, non è il nostro caso. «Non ci sarà mai la possibilità di erigere un muro, perché in Italia ci sono ottomila chilometri di costa, ma nonostante ciò sono assolutamente convinto che il nostro paese non lo farebbe, pur con tutti i difetti e anche se ne avesse la possibilità. Però mi colpisce il consenso che nei Paesi circostanti ottengono coloro che dicono il muro va bene, pur avendo bisogno dei migranti». È una una necessità politica, visto che le leggi precedenti come la Bossi-Fini non sono servite a regolare i flussi e hanno fermato l’ingresso regolare di lavoratori che sarebbero diventati nuovi cittadini.
Tuttavia l’Italia resta pur sempre un buon esempio di integrazione: «Il nostro modello funziona meglio dei modelli dei Paesi con i quali ci confrontiamo spesso in termini negativi e che hanno creato dei ghetti». C’è una società che è molto più avanti della sua rappresentazione politica, «Che dice no allo straniero ma è in grado nella prossimità di accoglierlo e di integrarlo meglio. E questo lo si deve al fatto che esista una presenza della chiesa e delle parrocchie».
Laddove lo Stato si è ritirato dalle zone d’Italia a più alta densità di criminalità ci sono ancora dei preti di cui si parla molto poco: «Sono degli eroi civili, che custodiscono non solo valori religiosi ma anche civili. Questo mi lascia sperare che il nostro paese in futuro sia più maturo della sua rappresentazione politica». E conclude così, ridendo: «Però ovviamente siamo noi a votare i nostri rappresentanti e quindi dovremmo fare qualche esame di coscienza. O perlomeno, dovremmo votarli noi ma in realtà non abbiamo una legge elettorale che ci permette di farlo».