Che cosa ha detto Letta sull'Europa venerdì sera al Liceo Mascheroni

«Non siamo ingenui: la fatica del progetto europeo è sotto gli occhi di tutti», esordisce Daniele Rocchetti, presidente delle ACLI della provincia di Bergamo. Nonostante l’incapacità dell’Europa di «proporre una visione più ampia dell’unità monetaria ed economica», Molte fedi sotto lo stesso cielo si fa portavoce di una posizione, anzi una convinzione, che pochi oggi esibiscono: «C’è bisogno di più Europa e che se ne parli davvero». Servono «parole nuove per i giovani, perché forse provincialismo e populismo porteranno voti, certo non futuro». Occorre spingere lo sguardo avanti, spiega Rocchetti, e partire da un solido punto di vista, che Molte fedi ha cercato di rintracciare la sera di venerdì 6 ottobre nel dialogo tra il professore Enrico Letta, presidente della facoltà di Science Po a Parigi, e Monsignor Franco Giulio Brambilla.
diretta dell'incontro
L'IDEA DI EUROPA: il sogno del passato e la realtà di oggi.
con Enrico Letta e Mons. BrambillaPubblicato da Molte fedi sotto lo stesso cielo su Venerdì 6 ottobre 2017
Le parole di Letta. La questione ruota attorno a un punto nodale: come ridare calore a una parola, Europa, che suona fredda, lontana e indifferente, burocratica e astrusa? «Se sapremo rispondere a questa domanda, tutto il resto sarà in discesa», spiega Letta, e ha un’idea chiara e concreta: dare voce ai cittadini per dare più peso all’Europa nella vita di tutti. Dopotutto, durante le elezioni in Francia e in Germania, «quante persone avrebbero voluto votare, perché sapevano che quel gesto avrebbe potuto cambiare non soltanto la politica di quel paese, ma anche la loro?». Per restituire forza al progetto europeo è necessario «riunificare lo spazio politico europeo con quello democratico».
L’occasione perfetta è all’orizzonte, dice Letta: «Un treno che va preso a tutti i costi, un’occasione di creare un momento elettorale collettivo». Dopo l’uscita del Regno Unito dall’Unione, nel parlamento europeo ci saranno 73 posti vacanti: piuttosto che ridistribuirli, bisognerebbe indire un’elezione collettiva, a cui si presentassero liste con candidati da tutti i Paesi ma accomunati dalla medesima idea di Europa. La forza di questo gesto risiederebbe nel fatto che per la prima volta tutti i politici «penserebbero in modo europeo» e che nessuno voterebbe sulla base della propria nazionalità. L’Unione di oggi non è in grado di creare delle politiche comuni perché «nell’organo che ha preso il sopravvento sul Parlamento di Strasburgo, il Consiglio Europeo, l’unico in grado di fare gli interessi dell’Europa è il Presidente. Tutti gli altri membri del consiglio sono i 27 capi di stato delle nazioni, che hanno come priorità gli interessi del loro paese».
Le parole di Monsignor Brambilla. Anche il discorso di Monsignor Brambilla è altrettanto dirompente quando parla di identità europea e di integrazione. «Abbiamo iniziato da un’Europa dell’economia, poi un’Europa dei diritti. Ora mi auspico un’Europa delle identità, proprio quelle che ci spaventano, perché io ho bisogno di te per trovare me» e la mia identità. Il contributo che può dare la comunità cristiana è attraverso la riunificazione tra cattolici e protestanti, per dare l’esempio e realizzare un’unione «non a spese della diversità, ma attraverso la diversità».
Brambilla prima di essere un teologo è un antropologo: conosce i numeri della sua città, dice, e sa che la percezione è che gli immigrati siano difficilmente integrabili. La questione è che non solo c’è il problema dell’accoglienza, ma anche dell’integrazione. «È necessario creare percorsi di integrazione basati sulla lingua, un fattore che al momento è trascurato», anche all’interno del dibattito dello ius culturae, erroneamente ricondotto a ius soli. «Non è il solo fatto di essere sul territorio che configura il diritto alla cittadinanza, ma anche la condivisione di valori del proprio patrimonio culturale laicamente consolidati». Da antropologo sa che la lingua non è solo un insieme di etichette, ma un veicolo per trasmettere il senso delle cose: non basta sottoscrivere un contratto per condividere i valori, che si danno sempre in forme pratiche di vita. «Anche la democrazia è una pratica che diventa valore solo se resta tale, così come il rapporto tra uomo e donna e il rapporto con la natura. La difesa di queste pratiche deve passare per forza nel cammino dell’integrazione».




E ancora Letta. Anche Letta ha qualcosa da dire sui nostri valori. «La mia generazione è venuta al mondo quando c’erano tre miliardi di persone e la lascerà quando ce ne saranno dieci». Se prima la popolazione europea rappresentava un sesto di quella mondiale, tra vent’anni sarà un ventesimo, perché tutta la crescita sarà concentrata nei paesi dell’Africa e dell’Asia. Di questi sette miliardi in più, nessuno di loro sarà in Europa, ma tutte vorranno e tuttora vogliono vivere con i nostri valori: «Siamo la parte del mondo in cui ogni persona vorrebbe vedere suo figlio crescere».
«Se guardiamo la questione da questo punto di vista, il dibattito finisce immediatamente. Non voglio che siano gli Stati Uniti di Trump a dettare le leggi sull’ambiente: non voglio che i miei figli debbano camminare per strada con una mascherina sul volto come in Cina». Se vogliamo avere un peso a livello mondiale negli anni a venire, preservare e diffondere i nostri valori, dobbiamo diventare uniti, perché «non saremo più politicamente potenti come un tempo». Non c’è altra strada.