Molte fedi sotto lo stesso cielo

Che cosa hanno detto sugli italiani Pagnoncelli e Fubini al Mascheroni

Che cosa hanno detto sugli italiani Pagnoncelli e Fubini al Mascheroni
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Foto di Luca Baggi

 

Se si parla di attualità e di Unione Europea noi italiani diamo i numeri, letteralmente. Lo ha spiegato Nando Pagnoncelli, amministratore delegato di Ipsos Italia, assieme a Federico Fubini, vicedirettore del Corriere della Sera, nell’intervento di mercoledì all’interno della rassegna Molte fedi sotto lo stesso cielo. Ipsos, spiega Pagnoncelli, conduce annualmente un’indagine su quanto si discosta la percezione dei cittadini dal come stanno le cose e «l’Italia è al primo posto per indice di ignoranza».

La percezione sugli stranieri. «Di fronte a un dato reale del 7 per cento, gli italiani hanno detto che gli stranieri sono il 28 per cento. Non solo: prima ancora dell’attentato di Charlie Hebdo gli italiani credevano che i musulmani in Italia fossero il 20 per cento, quando in realtà erano il 3 per cento». Anche con l’Unione Europea le opinioni più diffuse sono smentite: lo spiegano i dati dell’Eurobarometro, «lo strumento di ricerca più longevo per raccogliere dati sull’opinione dell'Unione e sui temi delle politiche europee».

 

 

La fiducia nell'Ue. Se da un lato c’è stato un calo innegabile, dal 2015 la fiducia nei confronti dell’Unione sta aumentando. Nella media dei ventotto paesi al 47 per cento degli scettici si oppone il 42 per cento dei fiduciosi, anche se il dato è più basso (36 per cento) in Italia come per tutti gli altri grandi Paesi come Spagna e Francia. «Solo in Germania ci sono più favorevoli che contrari, ma lo scarto è minimo: 47 per cento a 45 per cento». Anche i giudizi negativi diminuiscono e la fiducia nelle istituzioni europee aumenta, pur se con una contraddizione di fondo: «Gli italiani, ma non solo, manifestano una larga ignoranza nel funzionamento di queste istituzioni». È proprio questa ignoranza che produce giudizi e aspettative errate. Pagnoncelli infatti spiega che «Le sfide dell’Unione per i suoi cittadini sono molto chiare: al 44 per cento c’è il terrorismo e al 38 per cento l’immigrazione. Questo significa che più di tre intervistati su quattro ritengono che l’Unione Europea dovrebbe occuparsi di politiche di sicurezza, ma queste materie non sono di sua competenza, bensì dei singoli Stati».

 

 

I dati sull'immigrazione. Inoltre, i dati sull’immigrazione lasciano intendere come sia facile manipolare l’opinione pubblica: «Oggi l’immigrazione è al secondo posto tra le priorità degli italiani, dopo il lavoro (35 per cento). Ma nel 2011 questa percentuale era l’1 per cento. Era l’anno del cambio di governo, di Monti e dei tecnici, dello spread: si parlava d’altro. Anche dopo le elezioni shock del 2013 il tema era sentito solo dal 3 per cento degli italiani. Eppure l’immigrazione non è esplosa in questi anni: è così da decenni». E Fubini aggiunge: «Quest’anno per la prima volta ci saranno meno stranieri sul territorio italiano che l’anno precedente. Mi guardate increduli - dice al pubblico - ma è così: come molti giovani anche i migranti lasciano l’Italia in cerca di lavoro più remunerati. Gli arrivi a stento compensano le partenze: la percezione che abbiamo è fuorviante». Fubini sente molto questi temi: lo si capisce da come abbandona la brevità e la pacatezza della sua esposizione per aprire alcune «piccole digressioni» storiche, ma ne è consapevole: «Non riesco a trattenermi perché riguarda il modo in cui stanno le cose oggi».

 

 

La migrazione dall'Est. Le migrazioni riguardano anche i Paesi dell’Est, ma se ne parla troppo poco in Italia. «Le democrazie di questi Paesi stanno diventando governi autoritari. Lo stesso Orbàn, il primo ministro ungherese, ha detto di “star costruendo uno stato volutamente illiberale”» e in Polonia la separazione dei poteri è venuta meno. «Non è vero che questi Paesi non hanno una cultura politica democratica perché sono stati sotto l’influenza sovietica. Dopotutto pure noi italiani dopo vent’anni di fascismo abbiamo costruito una democrazia». La risposta ha a che fare con le migrazioni: «Dal duemila questi Paesi hanno perso sette milioni di abitanti. L’Estonia ha perso il 30 per cento dei suoi cittadini perché se ne sono andati alla ricerca di un lavoro. Questo è ovvio se si pensa che a parità di posizione lavorativa lì un operaio prende 500 euro e in Germania 2500. Le nazioni hanno paura di sparire e questo è un invito a nozze per i populisti». Anche negli Stati Uniti «tutti vanno verso le coste e al centro rimangono i meno istruiti, quelli che si sentono sconfitti, che naturalmente votano per Trump. Succede lo stesso in Italia nel Mezzogiorno».

 

 

Contro l'ignoranza e l'ideologia. «Non potremo contare per davvero finché non smetteremo di vedere tutto in chiave ideologica»: noi italiani siamo schierati, non informati e «non abbiamo una proposta né sul nostro stare in Europa né soprattutto su come l’Unione Europea dovrebbe funzionare», conclude Fubini. Se fossimo consapevoli di questa diffusa ignoranza sia della politica estera che del funzionamento delle istituzioni potremmo spiegarci perché solo il 24 per cento degli italiani sente di avere peso nelle decisioni prese a livello europeo, spiega Pagnoncelli. «La cosiddetta dieta mediatica è cambiata: se nel 2000 si compravano nove milioni di giornali al giorno oggi sono meno di tre. Ci informiamo male e a ciò dobbiamo aggiungere i fattori strutturali come l’educazione: il 60 per cento degli aventi diritto di voto ha ottenuto solo la licenza della terza media. L’Italia non è un Paese istruito».

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