I campi profughi

Cosa sta succedendo a Chios dove Grecia non vuol dire vacanza

Cosa sta succedendo a Chios dove Grecia non vuol dire vacanza
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A un’ora di traghetto dalla Turchia ma fuori dai consueti itinerari nelle isole greche, fino a pochi anni fa di Chios parlavano in pochi. Con i suoi 200 chilometri di costa, la sua rete stradale ben organizzata, il lungomare della capitale pieno di locali e le città con architetture del periodo bizantino conquistava i viaggiatori alla ricerca di bellezze naturali non intaccate dal turismo di massa. Da qualche anno però, in particolare dopo il 2011, inizio della guerra in Siria, quest’isola della Grecia è entrata nelle pagine dei giornali internazionali per la sua posizione all’interno delle rotte dei migranti.

 

La rotta dei migranti. Dal New York Times.

 

Il percorso mediterraneo attraverso il Nord Africa e l’Italia non è infatti per i rifugiati l’unica strada per arrivare in Europa. Sempre di più, infatti, sono i migranti che si dirigono verso i Balcani dopo essere sbarcati nelle isole Greche con imbarcazioni di fortuna provenienti dalla Turchia. Risalgono poi verso la Grecia Settentrionale, la Macedonia, la Serbia e infine l’Ungheria, dove fanno richiesta di asilo o, grazie all’assenza di posti di confine prevista dagli accordi di Schengen, proseguono il viaggio verso l’Austria, la Svezia o la Germania.

I profughi che, per la vicinanza con la Turchia, nella loro rotta verso l’Europa sbarcano a Chios, sono siriani, iracheni e afgani. Fuggono dalle guerre dei loro Paesi di origine, inseguendo il sogno di una vita migliore, spesso con la prospettiva di riunirsi ad altri parenti anch’essi in fuga in Europa. Arrivati a Chios, il processo di trasferimento verso alloggi sulla terraferma dovrebbe essere rapido; invece i procedimenti per la richiesta di asilo sono lunghi e macchinosi. La situazione è peggiorata dopo l’accordo firmato tra Turchia e Unione Europea il 20 Marzo 2016, che stabilisce che i rifugiati saranno tenuti in cinque isole greche (i cosiddetti hotspot, tra i quali Chios) e deportati in Turchia quando le loro richieste di asilo non vengono accolte.

 

 

La prima procedura da assolvere riguarda la richiesta di un posto letto in uno dei container o delle tende dei campi gestiti dall’UNHCR, l’Alto Commissariato delle Nazioni Uniti per i Rifugiati. Per farlo è necessario eseguire la procedura di pre-registrazione, tramite la quale i migranti vengono resi temporaneamente non deportabili in Turchia e inseriti all’interno di una lista di attesa prima di essere chiamati per la registrazione ufficiale come richiedenti asilo. L’attesa tra la fase di pre-registrazione e quella di registrazione, però, dura spesso alcuni mesi, tempo nel quale rifugiati restano bloccati sull’isola. Solo ad alcune nazionalità, infatti, viene dato accesso alla domanda di relocation per ottenere l’asilo e la protezione internazionale (tra le quali iracheni e siriani).

 

https://youtu.be/rxLzy6iZc-U

 

Così i migranti si trovano intrappolati sulle isole greche per un tempo molto più lungo del previsto, in una situazione nella quale la mancanza di programmi e strutture adeguate sta portando al deterioramento delle condizioni fisiche e psichiche. Tante sono state le proteste degli ultimi mesi e vari i suicidi e le tensioni nei campi dove i rifugiati sono alloggiati. I militari collaborano ora con UNHCR per quanto riguarda la fornitura di acqua e cibo, mentre le agenzie europee Frontex e Easo svolgono compiti di polizia, effettuando anche una preselezione tra gli ammissibili e i non ammissibili alla procedura di asilo. Il risultato è un limbo nel quale centinaia di rifugiati restano intrappolati, fermi su un’isola greca dopo aver subito abusi e violenze nelle terre di origine dalle quali fuggono.

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