L'assurda vicenda di Crocetta attaccato per non aver detto nulla

Caso Crocetta, cerchiamo di fare il punto della situazione: al momento, Crocetta si è “autosospeso” da presidente della Regione Sicilia (anche se non è stato formalizzato l'atto), cosa che vuol dire tutto e nulla, e ha pure indicato un successore che, però, teoricamente non avrebbe alcuna autorità per rivestire la carica di numero uno regionale (Baldo Gucciardi, ex assessore alla Sanità siciliana); l’Espresso riporta determinate intercettazioni telefoniche che dovrebbero essere segretate (e allora come fanno ad averle?), ma la Procura di Palermo smentisce l’esistenza di queste telefonate: chi mente? In tutto questo, da ogni dove arrivano indignate proteste e richieste di dimissioni ufficiali da parte di Crocetta, messo alla gogna pubblica per un’intercettazione che non si sa se esiste, e non per qualcosa che eventualmente avrebbe detto, ma per cose non dette che però avrebbe dovuto dire. Più che una piega, la logica di questa vicenda fa un vero e proprio crepaccio. Cerchiamo di capire bene cosa sia successo.
L’intercettazione: c'è o no? La scintilla che ha fatto scoppiare questo pandemonio l’ha fatta brillare l’Espresso, che ieri ha pubblicato stralci di una presunta telefonata che sarebbe avvenuta nel 2013 fra Rosario Crocetta, presidente della Sicilia, e Matteo Tutino, suo medico di fiducia. Il momento incriminato riguarderebbe una frase che Tutino ad un certo punto avrebbe rivolto al governatore, riferendosi a Lucia Borsellino, figlia del magistrato Paolo assassinato il 19 luglio 1992 dalla mafia: «Va fermata, fatta fuori. Come suo padre». La Borsellino, da sempre in politica, all’epoca ricopriva ruoli dirigenziali all’interno dell’assessorato alla Sanità della Sicilia, mentre Tutino, come detto, è un medico molto conosciuto, in Sicilia e non solo, particolarmente vicino a Crocetta nonché arrestato il 29 giugno scorso per truffa e corruzione.
Il silenzio di Crocetta. Ora, i motivi per cui Tutino abbia pronunciato quelle parole non sono noti, ma non è questo ciò che ha scatenato la bagarre (che poi, forse, dovrebbe essere la vera questione su cui indagare). Come ha avuto modo di sottolineare l’Espresso nell’articolo, Crocetta non avrebbe fatto la minima piega di fronte a queste pesantissime minacce del suo medico nei confronti della Borsellino: non un cenno di indignazione, non una parola di contrasto. Un silenzio che ha sconvolto l'opinione pubblica: da ogni parte sono stati lanciati insulti e accuse all’indirizzo del Presidente della Regione Sicilia, reo di non aver difeso la Borsellino durante quella telefonata. Particolarmente agguerrito contro il presidente siciliano è stato il Pd, partito di riferimento proprio di Crocetta. Dal canto suo, Crocetta si è difeso sostenendo di non aver udito, durante questa ipotetica telefonata, la frase di Tutino, ed è per questo che non ha reagito in alcun modo. E ha inoltre deciso di autosospendersi, momentaneamente, dalla presidenza regionale.
Il contrasto fra l’Espresso e la Procura. Ma la Procura di Palermo, a precisa domanda circa l’intercettazione incriminata, ha affermato in un comunicato ufficiale: «Con riferimento a notizie giornalistiche diffuse nella giornata di oggi, secondo le quali nel corso di una telefonata, intercettata tra il presidente della Regione, Rosario Crocetta, e il dottor Matteo Tutino, quest’ultimo avrebbe affermato che la dottoressa Lucia Borsellino, all’epoca assessore alla Sanità della Regione Siciliana: “Va fatta fuori. Come suo padre”, ritengo necessario precisare che agli atti di questo ufficio non risulta trascritta alcuna telefonata tra il Tutino e il Crocetta del tenore sopra indicato. Analogamente, i carabinieri del Nas, che hanno condotto le indagini nel suindicato procedimento, hanno escluso che una conversazione del suddetto tenore, tra i predetti, sia contenuta tra quelle registrate nel corso delle operazioni di intercettazione nei confronti del Tutino».
La replica della testata giornalistica. Una smentita che scombussola decisamente le carte in tavola, benché l’Espresso, anch’esso in una nota ufficiale, abbia immediatamente rivendicato l’esistenza di tali intercettazioni: «L’Espresso ribadisce quanto pubblicato. La conversazione intercettata tra il presidente della Regione siciliana Rosario Crocetta e il primario Matteo Tutino risale al 2013 e fa parte dei fascicoli secretati di uno dei tre filoni di indagine in corso sull’ospedale Villa Sofia di Palermo». Prescindendo dal fatto che un’intercettazione secretata non dovrebbe in alcun modo finire nella mani della stampa, chi ha ragione? Per ora, non è dato saperlo. Dunque, in forza di un’intercettazione dalla dubbia esistenza e di eventuali parole non dette, Rosario Crocetta è sulla forca: «Ormai mi hanno ucciso».
Un modo di agire che lascia perplessi. Il Governatore era stato eletto nel 2012 con il sostegno del Pd, partito col quale poi, nel corso della legislatura, è entrato in rotta di collisione. Ma oltre a questo, quella di Crocetta è una vicenda che riapre annose questioni di spiccato marchio italiano: l’uso sconsiderato delle intercettazioni telefoniche, la loro noncurante divulgazione, spesso con secondi intenti politici piuttosto che per reali esigenze giudiziarie (Crocetta non è indagato di nulla per questa vicenda, non si è trattato di strumenti utilizzati per fini processuali, quali le intercettazioni telefoniche dovrebbero essere), la gogna mediatica a cui lo sventurato di turno viene sottoposto per il semplice sospetto di aver fatto qualcosa (in questo caso addirittura non c’è nemmeno un lontano sentore di alcun reato). Il tarlo che genera questa vicenda, come tante altre simili, è che la politica o qualche altro potere continuino ad approfittare di strumenti giudiziari per realizzare fini che altrimenti non si riuscirebbe a raggiungere. Una prassi sgradevole, che rischia di minare sempre più la credibilità del sistema politico e l’indipendenza di quello giudiziario.