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Cure palliative a casa, attenzione È scattato un vero e proprio allarme

Cure palliative a casa, attenzione È scattato un vero e proprio allarme
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I budget bisogna rispettarli, altrimenti che facciamo? se non li rispettiamo andiamo a gambe per aria. In Regione lo sanno bene e quindi hanno stabilito delle previsioni di spesa rigide anche per quanto riguarda il settore sanitario. Ma ci sono degli aspetti, degli ambiti, che nei budget fanno proprio fatica a starci. Uno di questi è il settore delle cure palliative, della terapia del dolore. Negli anni, questo campo diventa sempre più importante; principalmente è legato a malattie gravissime, ai tumori. Ma non soltanto. Attualmente, esiste un servizio di cure palliative a domicilio che, a quanto sembra, funziona piuttosto bene. Nella Bergamasca ci sono ventinove enti privati che garantiscono questa assistenza domiciliare, si tratta di fondazioni, di cooperative, ma anche di società private. Medici e infermieri si recano anche ogni giorno a casa del malato che perciò può restare nella sua dimora e non occupare un letto di ospedale. Con vantaggio per tutti. Vantaggio per il malato e per la sua famiglia, ma anche per le diverse aziende ospedaliere e quindi per la Regione che possono evitare di occupare dei costosi posti letto di cliniche e ospedali.

«Il problema - spiega un medico anestesista - è che diversi enti che effettuano l’assistenza a domicilio non riescono più a fare quadrare i conti. La Regione ha stabilito delle somme precise oltre le quali non si può andare, ma se ci sono malati, gravissimi, che hanno bisogno, tu che cosa gli dici? Che non puoi andare da loro perché non si può sforare il budget? Ci sono cooperative che hanno lavorato molto di più di quanto prevedesse il budget durante il 2018, ma le ore in più non sono state pagate». Le eccezioni ci stanno. Ma se l’eccezione diventa la regola allora il sistema - che attualmente funziona bene - rischia di saltare. Infermieri, medici, psicologi che lavorano per questi enti lo fanno per professione, non possono regalare il loro lavoro, non più di tanto. Queste società che si occupano di cure domiciliari nacquero dopo il 2004, dopo che la Regione stabilì un sistema di “esternalizzazione” di parte delle attività sanitarie. Un provvedimento razionale, che migliorò il sistema, ridusse gli sprechi. Nacquero cooperative, fondazioni. Fino al 2017 esisteva un’Assistenza Domiciliare Integrata (Adi) che riguardava tutti gli interventi fatti nelle case anziché negli ospedali: cura di ferite, di ulcere, gestione di stomie e di cateteri, medicazione di piaghe su pazienti non trasportabili, cioè su pazienti che non potevano recarsi negli ambulatori. L’alternativa all’assistenza domiciliare, per loro, era soltanto la degenza in ospedale. Nel 2017 una nuova legge della Regione distinse fra Adi “normale” e l’assistenza domiciliare per le cure palliative (Ucpdom, Unità cure palliative domiciliari). Oggi ci sono società che fanno sia l’uno che l’altro, ma devono riferirsi a due budget regionali distinti.

Un altro cambiamento si è verificato lo scorso anno, con la delibera 5919: la Regione ha stabilito criteri molto stringenti, fra l’altro infermieri e medici delle cure palliative oggi debbono portare i farmaci al paziente mentre prima se ne occupava il medico curante. Per le famiglie si tratta di una soluzione molto più comoda, ma per gli operatori è una incombenza ulteriore. «Gli impegni sono tanti, sempre più complicati, il numero di pazienti continua ad aumentare» dice un operatore del settore. Nel corso del 2018, diverse cooperative sono andate oltre la previsione di spesa, nonostante le raccomandazioni dell’Ats, azienda sanitaria. Nel 2019 il budget regionale non è stato ritoccato, è rimasto tale e quale, cosa che ha provocato perplessità piuttosto forti fra gli operatori: come garantire una buona assistenza domiciliare se le risorse non sono adeguate? Lavorando gratis? Dicono in una cooperativa: «C’è chi taglia e non prende più pazienti e alle richieste risponde di no. Finora situazioni irreparabili in Bergamasca non se ne sono verificate, bene o male un paziente riesce ancora a trovare un operatore disponibile, ma di questo passo il sistema rischia di saltare. E se l’assistenza domiciliare va in crisi, a farne le spese saranno gli ospedali e i già intasatissimi pronto soccorso. È fondamentale che si costituisca un tavolo fra i diversi operatori e la Regione, l’Ats, per stabilire una strategia e per verificare le vere necessità, le risorse che realmente servono».

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