Un'indagine svedese

Dato che è tempo di brindisi l'alcool fa bene al cuore o no?

Dato che è tempo di brindisi l'alcool fa bene al cuore o no?
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Arrivano quasi a pennello degli stravizi anche alcolici dei pranzi e delle cene in grande stile per le feste i risultati di uno studio condotto dalla Sahlgrenska Academy dell’Università di Göteborg in Svezia, pubblicato sulla rivista Alcohol, che ha come protagonista proprio il vino (e l’etanolo in genere). Il quale avvisa: bere moderatamente protegge geneticamente il cuore dallo sviluppo di malattie cardiovascolari solo nel 15 percento dei casi. Diversamente e in quantitativi superiori a quelli raccomandati (due bicchieri per l’uomo e uno per la donna), se ne sconterebbero gli effetti collaterali.

Il gene. Merito (o colpa, dipende dai punti di vista) di uno specifico gene. Quello in questione si chiama CETP TaqIB e codifica la Cholesterylester transfer protein, una proteina capace di influenzare i livelli di colesterolo buono, aiutando a eliminare quello in eccesso nel sangue. Ma per essere efficace, ovvero per svolgere una azione di smaltimento puntuale e mirata dei grassi, questo gene deve operare in sinergia combinata con un preciso e moderato quantitativo di alcool.

 

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Lo studio. Per arrivare a questa conclusione, i ricercatori hanno tenuto sotto osservazione le abitudini alcoliche di oltre 600 svedesi affetti da patologie coronariche e di 3mila soggetti sani, che rappresentavano l’ampio ampio gruppo di controllo, suddividendoli in diverse  categorie a seconda dei bicchieri di alcool bevuti. Parallelamente, sono state condotte specifiche analisi per rilevare la presenza del gene CETP TaqIB, che studi precedenti avevano individuato come benefico rispetto al consumo di alcol, rilevando che solo il 15 percento della popolazione randomizzata, ovvero quella portatrice di quel gene specifico nemico dell’alcool, riusciva a salvaguardare il cuore da malattie cardiache e disturbi coronarici.

Bere una quantità moderata di alcolici per promuovere una buona salute cardiovascolare, secondo questi ultimi risultati svedesi, sarebbe dunque un consiglio eccessivamente generalizzato. Se non in presenza del codice genetico CEPT. Due le ragioni: la prima darebbe merito alle proteine colesteroliche che, grazie all’alcol, aumenterebbero il colesterolo buono, l’HDL, rimuovendo i lipidi in eccesso dai vasi sanguigni; l’altra è che l’alcol possa agire sulla produzione di antiossidanti protettivi del cuore, per la presenza del nostro mitico gene, più volte citato. Entrambe le spiegazioni del fenomeno sembrerebbero avere un fondamento di validità scientifica, ma per confermare o l’una o l’altra implicazione occorreranno studi aggiuntivi.

 

A Champagne Cheers!

 

Prossimi passi. La ricerca intende indagare più a fondo i meccanismi, ancora sconosciuti, dell’interazione alcol-genoma CETP TaqIB, in modo da comprendere effettivamente come agiscano HDL e antiossidanti sul cuore. E arrivare anche a sviluppare un test genetico in grado di rilevare se gli amanti del buon vino abbiamo anche la fortuna di appartenere al 15 percento di bevitori con il gene anti-alcool.

Scopo di tutto questo? Riuscire a capire quando consigliare un'assunzione salutare di alcol e in quale quantitativo per proteggere il cuore e soprattutto identificare nuovi strumenti che utilizzino le risorse naturali dell'organismo nell’auto-prevenzione dalle malattie coronariche.

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