Botta e risposta

Dea, premiare solo alcuni tifosi? «Non è lo spirito atalantino»

Dea, premiare solo alcuni tifosi? «Non è lo spirito atalantino»
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Ha fatto e sta facendo molto discutere la lettera scritta da alcuni tifosi nerazzurri e inviata alle testate di Bergamo nella quale si chiede una sorta di "premio" per i «cinquecento eroi di Kharkiv», cioè quei tifosi nerazzurri che si sono sobbarcati la lunga trasferta in terra d'Ucraina per la partita che poi, fortunatamente, s'è rivelata decisiva per il passaggio agli ottavi di Champions dell'Atalanta. In particolare, molti altri tifosi non trovano corretto chiedere alla società nerazzurra (che, comunque, non ha detto nulla al riguardo) una prelazione sui biglietti della partita degli ottavi contro il Valencia.

Tra le tante reazioni, ci fa piacere riportare la mail che ci ha scritto una tifosa, Alessia Carolei, che con toni pacati spiega la propria posizione e il motivo per cui, a suo parere, la richiesta avanzata dai suoi "fratelli" tifosi nell'altra lettera non sia «corretto» e, soprattutto, non rispecchi «lo spirito atalantino».

Gentile redazione di BergamoPost,

Premetto che questa non vuole essere una polemica ma, visto che considero il vostro giornale un punto di scambio di opinioni (sempre in maniera educata) e visoni differenti ci tenevo a rispondere (per quanto mi riguarda, ma anche per quello che ho potuto leggere in rete dopo la pubblicazione del pezzo) all'articolo in questione. Il punto focale, da quello che ho potuto leggere, si concentra in questa parte della lettera: "Perché la squadra e la società non dimostrano la propria gratitudine ai 500 eroi di Kharkiv, riservando loro una prelazione speciale sui biglietti in vendita libera per trasferte dagli ottavi di finale in avanti? Perché, un po’ come avviene per gli abbonati alle partite in casa, non prevedere un meccanismo di prelazione per le partite in trasferta a coloro che hanno partecipato alle trasferte precedenti?".

Quando avevo sentito parlare dell'iniziativa del Manchester di premiare quei tifosi arrivati fino in Ucraina con un posto riservato nella zona hospitality dell'Etihad Stadium in occasione della partita di ritorno, l'avevo immediatamente lodata. E lo faccio anche adesso, così come loderei un'eventuale iniziativa analoga da parte della società Atalanta.

Invece, al contrario, il "premiare" la partecipazione alle tre trasferte di Champions League con una eventuale prelazione sulle trasferte successive (se ci saranno ovviamente dopo quella di Valencia e visto anche il problema dei pochi posti disponibili nel settore ospiti del Mestalla) la troverei un'azione altamente discriminatoria nei confronti di tutte quelle persone che, per qualsiasi motivo, non sono riuscite a partecipare a tutte le trasferte (me compresa) o solo ad alcune di esse. Non mi piace categorizzare i tifosi, non esiste il tifoso di serie A, quello bravo, attaccato alla squadra, che ha la possibilità di presenziare a tutte o alla maggior parte delle partite, e il tifoso di serie B, quello che conta sulle dita di una mano le partite viste dal vivo e sono più le presenze sul divano che quelle allo stadio. Ognuno ha i propri motivi per decidere di rimanere a casa o di andare allo stadio, ma è anche vero che fino a tre/quattro anni fa, quindi prima dell'era Gasperini, eravamo in pochi (mi includo anche io) a viaggiare da nord a sud dell'Italia, agli orari più disparati, negli stadi più lontani da Bergamo, quando la classifica e le competizioni non ci sorridevano come oggi.

La domenica alle 15 (quando andava bene) li riconoscevo quasi tutti quelli intorno a me all'Adriatico di Pescara, al Barbera di Palermo, ma anche semplicemente al Franchi di Firenze o al Braglia di Modena. Tutti quelli che viaggiavano per piacere di sostenere la propria squadra, senza troppe aspettative, senza chiedere riconoscimenti particolari. Gli stessi 15.000 che ho visto all'Atleti Azzurri d'Italia quando quell'anno maledetto, appena siamo stati promossi in Serie A, abbiamo dovuto cominciare tutto con una penalizzazione che sapeva già di condanna alla serie cadetta. E così fino a questa stagione, quando non c'era il -6 ad aspettarci ma un terzo posto che, dopo tutto quel tempo passato insieme nei settori ospiti (e non) degli stadi italiani sapeva di ricompensa.

C'è chi questa ricompensa se l'è goduta, come quei signori che hanno scritto la lettera al giornale (che non conosco personalmente e magari anche loro erano con me già dieci anni fa, se non prima, quando io ancora ero una bambina, in giro per il Paese, questo non posso saperlo) e che invidio anche, perché avrei voluto esserci anche io a Zagabria, a Manchester o a Kharkhiv. E invece c'è chi queste partite, purtroppo, le ha dovute vedere da casa o, peggio, controllare il telefono ogni cinque minuti mentre era al lavoro. C'è chi potrebbe ribattere che allora premiare un abbonato facendogli avere delle prelazioni sui posti allo stadio di San Siro sarebbe la stessa cosa. No, attenzione, il discorso prelazione/abbonati si va a basare sulla prelazione in base a una "fedeltà" che, in teoria, dovrebbe essere più duratura e quindi ad agevolare coloro che allo stadio ci vanno effettivamente da anni e, in soldoni, in uno stadio dove sicuramente la caccia al biglietto non è impossibile visto anche la capienza paragonata alla richiesta di biglietti. Che poi a volte non funzioni così siamo tutti d'accordo e forse anche questo sistema sarebbe da rivedere e assimilare a quello inglese o tedesco.

Quindi, per concludere visto anche la lunghezza della risposta, vi chiedo, per favore, di non scegliere tra i tifosi, di non creare assurdi precedenti in cui il migliore è quello che è andato fino in Inghilterra, in Croazia o in Ucraina e far passare il messaggio che il premio è più importante dell'esperienza. Perché allora, se proprio devo dirla tutta, vi potrei rispondere: quanti di quelli che ora, in Champions League, con una qualificazione agli ottavi in tasca e un sesto posto in campionato, ci sono, c'erano anche quando non vincevamo da 14 partite consecutive o retrocedevamo in Serie B a Firenze? Non è bello. Non è corretto. Non è lo spirito bergamasco. Non è lo spirito atalantino.

Un saluto e grazie,

Alessia Carolei

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