Un articolo di Battista sul Corriere

Del Turco, galera «senza riscontri» Eppure gli han rovinato la vita...

Del Turco, galera «senza riscontri» Eppure gli han rovinato la vita...
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La Procura di L’Aquila, a pochi giorni dal giudizio d’appello nei confronti di Ottaviano Del Turco, che si terrà venerdì 20 novembre, ha fatto sapere che, dopo anni di serrati ritmi processuali e d’indagini, i riscontri che certificherebbero la colpevolezza dell’ex governatore dell’Abruzzo sono inesistenti. Si profila dunque, una volta ancora, un caso di riuscita e ingiustificata ghigliottina mediatica nei confronti di un cittadino che, alla prova dei fatti e non delle opinioni, è con ogni probabilità innocente.

 

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Il cursus honorum di Del Turco. Il governatorato dell’Abruzzo nel triennio 2005-2008 fu solo l’ultimo tassello di una lunga e intensa vita politica per Ottaviano Del Turco. Dopo una vita spesa per i sindacati, tra Fiom romana e Cgil, Del Turco nel 1992 prese le redini del Partito socialista italiano, orfano di Bettino Craxi, dopo la breve e opaca parentesi della segreteria di Giorgio Benvenuto. Il Psi era uscito più che malconcio dalle indagini di "Mani Pulite" e ben presto si rivelò come una struttura politica che non poteva più reggersi sulle fondamenta, ormai crollate, degli anni passati. Fautore del disperato tentativo salvifico fu proprio Del Turco, che nonostante i cambi nominali e dirigenziali non riuscì più a trovare linfa vitale nelle pieghe di un partito destinato alla morte politica. Con i primi anni Duemila, legatosi all’Ulivo, arrivarono anche i primi incarichi propriamente istituzionali: ministro delle Finanze, presidente della Commissione Antimafia, deputato europeo. Nel 2005 venne eletto presidente dell’Abruzzo, e contestualmente partecipò attivamente alla nascita del Partito Democratico.

La vicenda giudiziaria. Il 14 luglio del 2008 Ottaviano Del Turco venne arrestato, dietro input della Procura di L’Aquila, con l’accusa di associazione a delinquere, truffa, corruzione e concussione nell’ambito della dubbia gestione di alcuni fondi destinati alla sanità della regione: secondo gli inquirenti, Del Turco si sarebbe intascato 5,8 milioni di euro. Le indagini vennero presentate pressoché come già concluse: i procuratori Ettore Picardi e Nicola Trifuoggi, per mezzo di scintillanti conferenze stampa, sostenevano di avere già in mano «prove schiaccianti» e inconfutabili della colpevolezza di Del Turco. In particolare, avrebbe dovuto esserci un testimone dirimente, Vincenzo Angelini, imprenditore della sanità privata abruzzese, che avrebbe permesso di chiudere in quattro e quattr’otto l’iter processuale. Nel frattempo, già dato per colpevole da giornali, cittadini e persino dalla stessa politica, Del Turco fu costretto a dimettersi da governatore dell’Abruzzo e da tutte le cariche istituzionali rivestite, soggiornare in carcere per 28 giorni, vedersi sequestrare la maggior parte dei beni mobili e immobili di sua proprietà, e, naturalmente, a subire la ghigliottina mediatica tipica di contesti in cui le Procure agiscono, forse, un po’ troppo sicure di se stesse e delle accuse che portano.

 

 

Lo sviluppo delle indagini. Dopo gli scoppiettanti inizi che sembravano promettere un processo pressoché lampo, nel momento in cui c’era da venire al nocciolo della questione, ovvero far saltar fuori tracce delle tangenti che Del Turco avrebbe ricevuto, le indagini si sono miseramente arenate: di quei soldi non si riusciva a trovarne traccia. La stessa testimonianza di Angelini, nel frattempo accusato di essere responsabile del crac del gruppo Case di Cura, si rivelava più un bluff che un qualcosa su cui poter basare un vero e proprio giudizio. Ciò nonostante, Del Turco venne condannato in primo grado a 9 anni e 6 mesi di reclusione, in attesa che in occasione del giudizio d’Appello, puntualmente avocato dall'ex governatore abruzzese, potesse saltar fuori qualche verità un poco più incisiva della testimonianza-farsa di Angelini. Eppure, nulla. Il 17 novembre 2015 la Procura di L’Aquila, a tre giorni dal giudizio d’Appello, ha infine dovuto ammettere che prove effettive che Del Turco abbia commesso reati di associazione a delinquere, truffa, corruzione e concussione proprio non ce ne sono. A meno di particolari colpi di scena, insomma, Ottaviano Del Turco è innocente; vedremo cosa deciderà di fare il Tribunale d’Appello venerdì. Intanto, vale la pena leggere quanto ha scritto, a proposito di questa vicenda, Pierluigi Battista sulle colonne del Corriere della Sera.

Adesso persino l'accusa, nel processo d'Appello a Ottaviano Del Turco, ammette che non ci sono «riscontri» sulle presunte tangenti incassate dal governatore dell'Abruzzo costretto a dimettersi nel 2008, dopo essere stato arrestato nottetempo, come i peggiori malfattori: cioè, in parole povere, non si trovano, non si sa nemmeno se esistano.

Ci arrivano adesso, meglio tardi che mai. Ma si sapeva già, lo sapevano tutti, bastava solo informarsi e non uniformarsi a priori ai bollettini stampa della Procura. Solo l'accusa, i giornali forcaioli e i giudici della sentenza di primo grado non se n'erano accorti: quelle tangenti non si trovavano, il presunto corruttore è stato creduto sulla parola, anni e anni di indagini non hanno scoperto niente, si è accusato un uomo di aver intascato tangenti mai trovate.

Non c'erano «riscontri». Un uomo è andato in galera senza riscontri. Si è dimesso senza riscontri. All'indomani dell'arresto di Del Turco, il procuratore Trifuoggi, nella oramai rituale conferenza stampa (è la nuova moda) in cui chi conduce le indagini emette mediaticamente un verdetto preconfezionato di colpevolezza, aveva detto che quei riscontri c'erano ed erano addirittura «schiaccianti». Disse proprio così: «schiaccianti».

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