Ritirato il parametro di ateneo

Dire che gli atenei son tutti uguali fa decisamente male all'Italia

Dire che gli atenei son tutti uguali fa decisamente male all'Italia
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La rivista wired.it ha dato notizia di un emendamento alla legge delega sulla Pubblica amministrazione «sfuggito di mano al deputato democratico Marco Meloni, che ora si augura giustamente che il provvedimento venga almeno “ripensato”». L’emendamento si riferisce al cosiddetto e contestato parametro di ateneo, che differenzia il valore del diploma di laurea in rapporto alla disciplina e alla qualità dell’istituto in cui è stato ottenuto. Quando si presenterà il certificato di laurea per partecipare a un concorso pubblico non basterà dunque più (si spera) il voto finale. Esso sarà infatti moltiplicato per il valore dell’università e per quello della materia. Fatto pari, poniamo, a 2.0 il valore di una materia importante al Politecnico di Torino e pari a 0.80 quello di una materia secondaria in un’università sconosciuta, un centodieci diventerà 220 nel primo caso e 88 nel secondo. E tutto sarà finalmente molto più chiaro.

Abbiamo detto «diventerà», ma dobbiamo correggere in «sarebbe diventato» perché, proprio mentre questo pezzo era in corso di scrittura ci ha raggiunto la notizia del ventilato «ripensamento». Secondo i ripensanti il provvedimento avrebbe infatti penalizzato le università con poche risorse: «Penso in particolare a Sud e isole», aveva detto l’onorevole Meloni. E dunque siamo alle solite: nella considerazione della maggioranza che sostiene il governo le università non servono a sfornare teste in grado di competere nei vari campi. Il loro compito consiste essenzialmente nel mantenere il personale docente, i tecnici (quando ci sono) e i dipartimenti.

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Riporta Huffingtonpost.it: «Niente valutazione delle università nei concorsi pubblici. Il Partito democratico ritirerà l'emendamento che ha sollevato un vespaio di polemiche, secondo il quale il voto preso in un ateneo dalle medie molto alte sarebbe valso meno da un equivalente conseguito in un istituto più selettivo». Con «ateneo dalle medie molto alte» si intendono gli atenei in cui - come si dice in gergo - i voti li regalano. Quelli con parametro uguale o inferiore a 0.85, per intenderci. «Quello del Pd  - scrive poco più avanti Huffington.it - è però un passo indietro per farne due avanti. Perché dopo l'estate partirà una grande fase di consultazione pubblica per preparare il terreno a La Buona Università, una riforma complessiva dell'istruzione superiore», come ha spiegato la responsabile del partito Francesca Puglisi. Nei temi della «grande fase di consultazione» - il lessico ricorda sinistramente quello delle grandi battaglia del grano - non entrerà tuttavia - è inevitabile pensarlo - la valutazione degli atenei, così come il progetto La Buona Scuola ha sbattuto contro il muro eretto dagli insegnanti elementari e medi alla valutazione dei loro istituti.

La motivazione apparente (o, se si preferisce, elettorale) della scelta maggioritaria è la medesima e anche un po’ datata: le scuole (o le università) che operano in un ambiente depresso sarebbero penalizzate in quanto non troverebbero nessuno - in loco o da remoto - disposto a finanziare il loro funzionamento. Questo, però, equivale soltanto a difendere il diritto di un prodotto cattivo a camuffarsi da buono. Il diritto dell’ultima maglieria di paese a fregiarsi del marchio Benetton o Missoni in nome della riconosciuta inadeguatezza dei propri macchinari e delle scarse capacità delle maestranze che, in caso di cessazione dell’attività, non troverebbero impiego da nessun’altra parte. La questione - si badi - non riguarda solo i risultati: riguarda l’intero meccanismo produttivo. Va infatti da sé che, errori nella gestione finanziaria a parte, una fabbrica non riesce a rinnovare le proprie attrezzature o ad attirare maestranze qualificate quando i suoi prodotti non ce la fanno, come si dice, a stare sul mercato. Quando, cioè, sono scadenti per una ragione o per l’altra. E nessuno, a questo punto, si sentirebbe di sostenere l’idea che un prodotto di scarsa qualità debba essere prezzato come un’eccellenza solo perché il primo ha alle spalle una filiera che fa acqua da tutte le parti.

 

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Eppure sembra questa l’ideologia a sostegno del 110 uguale per tutti (nel senso detto sopra, non nel senso in vigore negli anni della Contestazione), che mal si concilia da un punto di vista logico - mentre va a braccetto nell’opinione diffusa - col permanere delle lamentele a proposito del mal funzionamento delle istituzioni statali, parastatali e varie. Se, infatti, ogni volta che si ventila una riforma del sistema scolastico o dell’università, si ripresenta indomito il problema della valutazione delle scuole e degli atenei, significa che la disparità dei risultati ottenuti in regioni diverse del Paese è un fatto acclarato, noto a tutti, devastante a ogni livello lavorativo, pubblico o privato che sia. Si può spingerlo, ancora una volta, sotto il tappeto. Questo non toglierà che, sopra il tappeto, ogni volta che ci troveremo di fronte a degli incompetenti, dovremo ricordarci almeno come hanno fatto ad arrivare tra noi.

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