Il documentario choc che racconta perché in Cina sono sparite le stelle
Il suo nome è Chai Jing, ha 39 anni ed è una ex giornalista televisiva cinese. Chai Jing è una madre, che quando era ancora incinta ha saputo che suo figlio aveva un tumore benigno provocato dal particolato. Chai Jing è la donna che è riuscita a mettere con le spalle al muro il governo cinese grazie a un documentario che in appena 4 giorni ha superato le 100 milioni di visualizzazioni. Il lavoro di questa coraggiosa donna cinese si intitola Under the Dome (Sotto la Cupola) ed è un documentario autoprodotto (con un investimento di ben 160mila dollari) che racconta la tragica situazione dell’inquinamento in Cina. La cupola di cui parla il titolo è la cappa di smog, fumi di scarico e polveri sottili che copre il cielo delle città cinesi e a causa della quale milioni di bambini non sanno cosa siano il cielo terso, le nuvole e le stelle. Vivono segregati in casa per paura che si ammalino, intrappolati, per l’appunto, «under the dome».
[Chai Jing in un fotogramma del documentario]
Rivelazioni choccanti. Chai Jing è sola su un grande palcoscenico. Davanti a lei un pubblico giovane, probabilmente di universitari, totalmente rapito dalle parole della donna e dalle immagini che vengono proiettate su un grande schermo. Un viaggio nell’inquinamento della Cina, tra visite nelle città e soprattutto interviste, alternate a statistiche e infografiche sugli effetti dell’inquinamento. In realtà, a colpire di più, è la disarmante semplicità con cui Chai Jing ha deciso di trattare un tema che, fino al 27 febbraio, data in cui il documentario è stato diffuso in rete, era off-limits nella terra del Dragone. Domande semplici, come ad esempio: ma sappiamo cosa c’è nel particolato? (Precisamente 14 diversi carcenogeni, che fanno 500mila morti ogni anno in Cina). Oppure, come vivono i bambini cinesi senza neppure sapere come sono fatte le stelle? E sono proprio le risposte dei piccoli intervistati a lasciare maggiormente a bocca aperta, a choccare, perché è da loro e dalle loro banali risposte che scopri come il tema trattato non sia più solamente una problematica da limitare alle discussioni tra ambientalisti, ma un vero e proprio allarme mondiale.
La Jing spiega che vengono utilizzati carbone e petrolio di bassa qualità per risparmiare, e che ignoranza, apatia burocratica e lacune legislative fanno il resto, proprio mentre il Paese continua a galvanizzarsi sugli investimenti che sta compiendo nell’energia pulita. L’unico obiettivo reale dei funzionari di Stato cinesi è accrescere il Pil, fare in modo che la locomotiva economica del Paese non subisca mai uno stop. Non si preoccupano invece dei mezzi con cui vengono raggiunti questi risultati. Ogni anno si promettono nuovi investimenti e nuovi progetti, anche nel settore dell’ambiente, ma poi nessuno di questi viene seguito nel tempo e valutato. Semplicemente ce ne si dimentica. La giornalista mette veramente con le spalle al muro il Governo cinese, ma anche tutti noi, semplici osservatori. Il suo è un grido d’allarme: non aspettate che il problema tocchi voi, che sia il vostro di figlio a nascere già con un tumore, prima di preoccuparvi di ciò che sta accadendo nel mondo.
La reazione. Il mondo intero ha osservato stupito il successo del documentario nel web e ha apprezzato unanimemente il coraggio di Chai Jing. Il Guardian ha tirato in causa l’ambientalista cinese Ma Jun, il quale ha definito la pellicola «uno dei fondamentali momenti di presa di coscienza nella storia dell’opinione pubblica cinese», spiegando che «è un’opera potente perché nata da una storia personale. La gente si sente coinvolta, si immedesima in Chai Jing. Inoltre è un grande esempio di giornalismo abbinato alla spiegazione scientifica». La paura era che a non reagire allo stesso modo sarebbe stata Pechino. Da che mondo è mondo, difficilmente l’amministrazione centrale cinese accetta attacchi così diretti alle proprie politiche. E invece anche il ministro dell’Ambiente Chen Jining ha elogiato il progetto, sottolineando che rappresenta «la nuova consapevolezza della popolazione sulla questione ambientale e sui rischi per la salute pubblica». Peccato che, poche ore dopo, il documentario sia stato censurato sui siti cinesi, come riporta La Stampa.
Un problema anche per noi. La questione dell’inquinamento in Cina non è certo una novità (ne avevamo già scritto anche noi QUI) e non c’era bisogno di Under the Dome per scoprire che Pechino è oramai ritenuta, da molti ricercatori, quasi invivibile per gli esseri umani. Ma il pregio del lavoro di Chai Jing è quello di aprire gli occhi partendo da domande e presupposti di una semplicità quasi imbarazzante, ma fondamentali se si vuole che le cose cambino. E quella stessa sensazione la vive non solo il cinese che guarda per la prima volta il documentario, ma anche l’occidentale. Perché, come spiega Wired, il cielo è uno per tutti. L’inquinamento di Pechino non rimane limitato a Pechino, ma, seppur con effetti meno travolgenti, circola fino a noi. E l’Italia non può certo vantarsi: ad appena due mesi e tre giorni dall’inizio del 2015, Milano ha già esaurito i 35 giorni di sforamento delle soglie di pm10 nell’aria concessi dall’Europa in un anno. Per l’assessore all’Ambiente della Regione Lombardia, Claudia Terzi, gran parte del problema sta nella configurazione geografica della pianura Padana, dimenticandosi che, secondo i dati dell’Istat, l’Italia è il Paese con il maggior numero di mezzi motorizzati pro capite d’Europa. Fortunatamente non viviamo anche noi sotto una cupola d’inquinamento, ma guardare questo documentario potrebbe aprirci gli occhi. Sarebbe già qualcosa.