Due corpi nel Mare del Nord Storia di un'incredibile Odissea

Due storie si sono intrecciate per caso e raccontano l’ennesima vicenda di migranti così disperati da rischiare (e perdere) la propria vita. Si è iniziato da poche ossa rivestite da una tuta da sub, e nessun indizio che potesse condurre all’ identità della persona a cui appartenevano. I resti di un uomo sono stati infatti ritrovati un anno fa sulle coste norvegesi, ma la polizia locale non riusciva a identificarle. Brancolava nel buio. Apparentemente lo sconosciuto non si era lasciato alle spalle alcuna traccia, non c’era niente che parlasse di lui: non c’erano state denunce per persone scomparse e il suo dna non era nei registri della polizia. Un mese dopo il ritrovamento, tuttavia, la polizia olandese ha contattato i colleghi in Norvegia, informandoli di avere scoperto i resti di un altro uomo, rivestiti di una tuta da sub. Una tuta identica a quella trovata in Norvegia. Gli agenti danesi hanno trovato un chip nel tessuto, grazie a cui sono riusciti a risalire al negozio in cui era stato acquistato l’indumento. O meglio, gli indumenti: perché il rivenditore di Calais interrogato dalla polizia ha venduto due tute, il 7 ottobre 2014, poco prima delle 20,00.
L’indagine del giornalista Anders Fjellberg. A raccontare questa storia è un reporter norvegese, Anders Fjellberg del quotidiano Dagbladet, che ha investigato sul caso dei due corpi senza nome insieme al fotografo Tomm Christiansen. Come ha affermato durante una conferenza TED tenuta a Londra nel mese scorso, «tutti hanno un nome, tutti hanno una storia, tutti sono qualcuno». Il luogo di vendita delle tute, Calais, insieme al fatto che nessuno avesse denunciato la scomparsa di due persone, hanno indotto il giornalista a ritenere che gli sconosciuti fossero dei rifugiati: «I vostri amici e i vostri familiari diramerebbero la notizia della vostra scomparsa, la polizia vi cercherebbe, i media lo saprebbero, e ci sarebbero foto di voi sui lampioni. Ma se siete appena scappati dalla guerra in Siria e se avete appena lasciato la vostra famiglia, se avete ancora una famiglia, non necessariamente si sa dove siete, soprattutto se siete qui illegalmente, tra altre migliaia di persone che vanno e vengono ogni giorno. Se un giorno sparite, nessuno lo noterà. La polizia non vi cercherebbe, perché nessuno saprebbe che ve ne siete andati». Anders non si sbagliava. Dopo qualche ricerca è riuscito a trovare un siriano che vive a Bradford, in Inghilterra, il quale stava cercando disperatamente di contattare il nipote.
Chi era Mouaz Al Balkhi. Mouaz Al Balkhi, così si chiamava uno dei due giovani i cui resti sono stati ritrovati nel 2014, era nato nel 1991 a Damasco. La sua famiglia apparteneva alla classe media, suo padre era un ingegnere chimico, che però aveva dovuto trascorrere qualche anno in prigione per essersi schierato con l’opposizione politica. Era Mouaz a prendersi cura della famiglia e delle sue tre sorelle. A Damasco studiava per diventare un ingegnere elettronico, ma due anni dopo l’inizio della guerra civile l’intera famiglia era scappata in Giordania. Qui Mouaz si è trovato in una situazione di stallo: era ancora uno studente, non poteva lavorare. Ha deciso perciò di andare in Turchia, per terminare gli studi, ma non è stato accettato dall’università. Non potendo rientrare in Giordania, si è diretto prima in Algeria, poi si è spostato a piedi fino in Libia e da qui è partito per l’Italia, su uno dei tanti gommoni. In qualche modo è riuscito a raggiungere la cittadina di Dunkirk, vicino a Calais. Ha tentato almeno una dozzina di volte di passare lo Stretto della Manica, nascosto dietro a un camion, ma senza successo. «A un certo punto, deve avere rinunciato alla speranza», ha raccontato il giornalista norvegese. «Mouaz ha trascorso l’ultima notte in un hotel a poco prezzo, vicino alla stazione dei treni di Dunkirk, da solo. Il giorno dopo è andato a Calais, ha comprato una tuta da sub, insieme a Shadi Kataf». Da allora non si è più saputo nulla di lui. Lo zio di Mouaz è riuscito a fornire dei campioni di DNA appartenuti al nipote, grazie ai quali si è appurato che uno dei due corpi apparteneva a lui.
Chi era Shadi Kataf. Shadi Kataf aveva un cugino in Germania ed era più grande di Mouaz. Anche lui siriano, di Damasco, si è sempre dato da fare per aiutare la famiglia. La sua casa è stata bombardata all’inizio della guerra civile, così ha lasciato con la famiglia l’area della capitale per rifugiarsi nel campo di Yarmuk, che è stato definito il posto peggiore in cui si possa vivere sulla Terra. Lui e la sorella sono riusciti a lasciare il campo – i genitori vi si trovano ancora, invece – e hanno raggiunto la Libia, prima che scoppiasse la guerra civile anche qui. Durante la sua permanenza in terra tripolitana Shadi ha imparato a fare il sub e si è innamorato così tanto di questo sport da volerlo rendere il suo mestiere. È andato in Italia, ma non ha avuto fortuna. Nel settembre 2014 viveva per le strade della Francia, senza lavoro. Probabilmente ha conosciuto Mouaz nel campo rifugiati di Calais e insieme devono avere progettato il piano di attraversare la Manica a nuoto. Il 7 ottobre Shadi ha fatto un’ultima telefonata al cugino, informandolo delle sue intenzioni. Quella è stata l’ultima volta in cui qualcuno ha sentito la sua voce.