Egitto, quei 230 ergastoli che hanno ucciso il dissenso

Una condanna senza precedenti: 230 attivisti legati ai movimenti di piazza durante i giorni che hanno dato il via alla rivoluzione egiziana del 25 gennaio 2011 sono stati condannati all’ergastolo. Erano militanti del fronte ani-Mubarak. E tra loro c’è anche uno dei leader della protesta, colui che più di ogni altro portò alla deposizione del Faraone, Ahmed Douma, 29 anni, condannato con le accuse di violenze fuori da una sede governativa nel 2013, di detenzione illegale di armi e di aggressione ai militari. L’ergastolo in Egitto corrisponde a 25 anni di carcere. Gli attivisti sono stati condannati a pagare anche una multa pari a 2 milioni di euro. Nell’ambito dello stesso processo, e per le stesse motivazioni, 39 minorenni sono stati condannati a 10 anni di carcere.
Le sentenze di condanna si inseriscono in quel filone dei processi di massa con i quali la magistratura egiziana ha deciso di punire le violenze di strada. Gli oppositori giudicano questa tendenza essere una precisa strategia di repressione del dissenso. In effetti dal golpe militare del luglio 2013 che ha deposto il presidente Mohammed Morsi, vincitore delle prime elezioni libere dell’era post Mubarak, l’Egitto ha represso ogni forma di dissenso. E l’ha fatto in maniera assai brutale. Finora, però, alla sbarra erano andati sempre e solo gli esponenti dei Fratelli Musulmani e mai, come in questo casi, attivisti laici. Si riteneva fosse in atto una repressione nei confronti dell’islamismo, anche nelle sue forme più estreme, ma quella che si sta delineando ha tutti i contorni della repressione tout court del dissenso. A pronunciare le sentenze è stato lo stesso giudice che ha condannato in passato i giornalisti di alJazeera, e la scorsa settimana i 183 islamisti accusati di essere gli autori dell’attacco contro una stazione di polizia che ha ucciso 16 poliziotti.
Ahmed Douma e il movimento 6 aprile. Ahmed Douma, che è già in carcere per scontare due condanne a tre anni per oltraggio alla corte e per violazione della legge che vieta le manifestazioni, è uno dei leader del movimento 6 aprile, Harket Shabab in egiziano. Si tratta di un movimento fondato da un gruppo di giovani nella primavera del 2008, a sostegno dei lavoratori in sciopero a Mahalla el-Kubra. Un movimento che è stata la ragione grazie alla quale la gente comune in Egitto ha iniziato a sentir parlare di Facebook, e che ha dato il suo contributo nel far cadere il regime di Hosni Mubarak.
Il 6 aprile 2008, due dei suoi fondatori, Ahmed Maher e Esraa Abdel-Fatah, lanciarono su Facebook l’invito a manifestare in massa, in solidarietà dello sciopero generale previsto per lo stesso giorno da parte degli operai tessili del Delta del Nilo. Il movimento è anche quello che subisce più accuse e distorsioni della propria realtà da parte di certa opinione pubblica. Nell’aprile scorso il Tribunale degli Affari urgenti del Cairo ha dichiarato fuorilegge il Movimento e ha chiesto di vietarne tutte le attività politiche, la chiusura dei suoi uffici e l'organizzazione di dibattiti e manifestazioni. L’accusa a carico del movimento è quella di spionaggio e di avere commesso atti che hanno danneggiato l'immagine dello Stato egiziano. I leader del gruppo, in carcere dal dicembre scorso, sono stati condannati in appello a tre anni di prigione, con l'accusa di disordini e incitamento alla violenza, e per aver violato la legge sulle dimostrazioni.
Ahmed Douma, dopo la deposizione di Mubarak prese subito posizione contro la giunta militare salita al potere, di cui faceva parte l’attuale presidente egiziano Abdel Fatah alSisi. E poi contro il presidente Morsi, definito un criminale. È l’unico attivista che è stato incarcerato sotto tutte le presidenze.
Reazione di Ue e Usa. «Una violazione degli impegni internazionali sui diritti umani» è stata la preoccupazione espressa dalla responsabile della politica estera dell’Unione Europea Federica Mogherini. Di avviso simile anche gli stati Uniti, che hanno condannato la sentenza esprimendo la loro preoccupazione. Condanne appellabili, quelle espresse dal tribunale egiziano, ma che segnano una pesante svolta nella giurisprudenza del Paese, che fino a oggi aveva emesso pesanti sentenze, anche capitali, solo nei confronti di esponenti della Fratellanza Musulmana e mai di attivisti laici. Con questa sentenza la Rivoluzione di Piazza Tahrir non solo è finita, ma è stata definitivamente cancellata.