Il 21 novembre 1994 venne presa la "mente"

La pagina nera della Uno Bianca Vent'anni fa l'arresto della banda

La pagina nera della Uno Bianca Vent'anni fa l'arresto della banda
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Esattamente vent’anni fa, il 21 novembre 1994, veniva arrestato Roberto Savi, mente principale della Banda della Uno bianca, il gruppo criminale che terrorizzò l’Emilia Romagna a cavallo fra anni Ottanta e Novanta, mentre si trovava presso la questura di Bologna. Proprio nella sede della polizia, ma non perché fosse già stato fermato, ma perché lui stesso, Savi, un uomo con alle spalle già più di venti omicidi, era un poliziotto. Esattamente come quasi tutti i componenti della Banda, che a vari livelli facevano parte delle forze dell’ordine.

Le origini. Il cuore di questa piccola, nelle dimensioni, ma non certo nell’azione, banda criminale era composto dai tre fratelli Savi: Roberto, Fabio e Alberto. Il primo, come si diceva, era la vera mente del gruppo: operatore volante presso la Polizia di Stato di Bologna, si distingueva spesso per alcuni comportamenti un po’ sopra le righe: un giorno maltrattò un giovane per un’intera notte per il solo fatto di avergli trovato addosso alcune sostanze stupefacenti. Membro della Polizia era anche il fratello Alberto, che operava presso il Commissariato di Rimini; viene descritto come una personalità particolarmente fragile, fortemente condizionato dai fratelli maggiori. Fra i due c’era Fabio Savi, il quale, per un difetto alla vista, non riuscì ad essere accettato nelle forze dell’ordine, rimpiegato così su vari e saltuari lavori. A completare la Banda, Pietro Gugliotta (operatore radiofonico presso la questura di Bologna), Marino Occhipinti (poliziotto anch’egli a Bologna), e Luca Vallicelli (agente stradale a Cesena).

 

BANDA UNO BIANCA

 La strage del pilastro

 

I primi colpi della Banda riguardavano piccole rapine ai caselli autostradali: tutto cominciò, per la precisione, alla barriera di Pesaro, il 19 giugno 1987, con un primo bottino di un milione e 300 mila lire. La Banda della Uno bianca (nome derivante dalla vettura utilizzata, molto comune all’epoca per modello e colore, così da rendere difficoltoso il rintracciamento) divenne in breve tempo il terrore delle stazioni autostradali, portando a termine 12 rapine in soli due mesi. Ma arrivò un momento in cui i caselli non bastarono più ai fratelli Savi. Nell’ottobre di quell’anno, infatti, la Banda tentò un’estorsione nei confronti di un rivenditore di automobili riminese, ma le conseguenze furono drammatiche: in una sparatoria che coinvolse anche la Polizia, avvisata dallo stesso commerciante, rimase ucciso il sovrintendente Antonio Mosca. Il primo omicidio quindi, che invece che spaventare e fermare la Banda, ne fomentò gli impeti criminali. Di lì a pochi mesi, infatti, arrivò la seconda morte: durante una rapina ad un supermercato, perse la vita la guardia giurata Giampiero Picello. Il triennio 1988-1990 fu un continuo susseguirsi di rapine e omicidi: persero la vita in quel periodo, a causa dei colpi della Banda, 12 persone.

La strage del Pilastro. Il 4 gennaio del 1991, al quartiere Pilastro di Bologna, una pattuglia dei Carabinieri viene presa d’assalto dalla Banda, di passaggio in quella zona per trovare una vettura da rubare. L’auto della Banda venne casualmente sorpassata dalla pattuglia dell’Arma: tale manovra fu interpretata dai criminali come un tentativo di registrare i numeri di targa; allora, i due fratelli Savi aprirono il fuoco contro il conducente Otello Stefanini, che nel tentativo di fuggire andò a sbattere contro dei cassonetti. L’auto restò così intrappolata, e la Banda la crivellò di colpi. Due militari, Andrea Moneta e Mauro Mitilini, riuscirono a uscire dall’abitacolo e a rispondere al fuoco, ferendo tra l’altro Roberto Savi, ma vennero attaccati su più fronti, lasciati senza via di scampo e finiti con un colpo alla nuca. Fu la più clamorosa azione della Banda della Uno bianca, a cui seguirono, in quell’anno, altri sei omicidi, tutti derivanti da tentate rapine.

 

ROBERTO SAVI

 Roberto Savi, la mente della Banda

 

Le indagini, nel frattempo, non sembrano trovare riscontri positivi: la Banda si muoveva con troppa abilità, dalla maestria nell’utilizzo delle armi, la perfetta conoscenza del metodo d’azione della Polizia, il modo di agire quasi militare. Fu proprio da questi elementi che l’ispettore Baglioni e il sovrintendente Costanza cominciarono a intuire che, forse, i criminali fossero proprio in casa loro. Chiesero così di poter avere campo libero nello svolgimento delle indagini, cosa che ottennero. I due iniziarono allora ad effettuare appostamenti presso luoghi che ritenevano potessero divenire obiettivi della Banda. E infatti, il 3 novembre 1994, Baglioni e Costanza notarono un soggetto sospetto aggirarsi introno a una banca a Santa Giustina, Rimini, e, attraverso alcuni identikit realizzati nel corso degli anni, riconobbero Fabio Savi. Nel giro di un mese, tutti i membri della Banda vennero individuati e arrestati: particolarmente drammatico fu quello di Fabio, preso ad un passo dal confine austriaco dopo un lungo inseguimento.

 

FABIO SAVI

 

Il processo e le condanne. Il procedimento penale conseguente venne agevolato soprattutto da alcune confessioni spontanee (nelle quali, fra l’altro, dichiararono che l’unico motivo per cui avessero compiuto tutto quanto raccontato fosse esclusivamente per denaro) degli stessi membri della Banda, che però non bastarono per evitare l’ergastolo per tutti i fratelli Savi e pene fra i 3 e i 16 anni per i restanti componenti del gruppo. Il giorno delle condanne e della fine del processo, 6 marzo 1996, terminò definitivamente la vicenda della Banda della Uno bianca, una delle storie più sanguinose e paradossali della criminalità italiana.

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