Esposizione universale? Non proprio

Expo -11. I Paesi che non ci sono (e come mai non ci sono)

Expo -11. I Paesi che non ci sono (e come mai non ci sono)
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Non venivano certo in Europa perché richiamati da Expo le centinaia di disperati che sono stati inghiottiti sabato notte dalle acque del Mediterraneo. Avevano certo altre aspirazioni. E inoltre difficilmente avrebbero trovato i padiglioni dei loro Paesi a Milano. Infatti l’Expo è esposizione che vorrebbe essere universale, ma nei fatti non lo è. E tracciare la mappa dei Paesi che non ci saranno, è un po’ come tracciare la grande mappa del mondo che in questo momento o è in ebollizione o ha altre emergenze a cui pensare. Insomma c’è Expo e c’è anche il suo negativo.

Un negativo più vasto di quanto si immagini e che è stato arginato grazie alla soluzione – davvero innovativa – dei Cluster: padiglioni, che hanno visto il coinviglimento di tante università europee, che accumunano più Paesi a seconda delle colture agricole che  li carratterizzano. È grazie a queste “scatole” che si sono potuti recuperare paesi come l’Afghanistan (presente nel cluster del Mondo delle Spezie), la Repubblica democratica del Congo (nel Cluster della frutta) o il Ruanda (nel Cluster del caffè).

Senza i Cluster l’elenco degli assenti sarebbe stato lunghissimo. Ma se l’elenco è meno lungo non è a suo modo meno emblematico. Ovviamente non troveremo la Siria, paese dilaniato da una guerra civile da oltre quattro anni, e che ha strappato all’Afghanistan il triste record del maggior numero di profughi: oltre 4milioni. Non c’è l’Ucraina, altra nazione alle prese con un conflitto civile sul quale per altro soffiano non pochi Paesi pomposamente presenti ad Expo. Non avrebbe dovuto esserci, per altri motivi, la Turchia, che aveva candidato una sua città, Smirne, come rivale di Milano e che aveva chiesto all’Italia l’appoggio per Izmir per il 2020. Appoggio che non c’è stato (l’Expo sarà a Dubai), e che quindi aveva dato origine alla ripicca di Ankara. Invece il Paese è rientrato in extremis, investendo anche molto: avrà il quinto padiglione più grande sotto il segno del melogrando e della Mezzaluna, simobolo di “unità nella diversità”. Non ci saranno Mali e Repubblica Centroafricana. Non c’è soprattutto la Nigeria, cioè il più popoloso Paese del continente.

Non ci sarà la Libia, paese ormai ingovernabile e diviso tra tribù, dopo che la “brillante” operazione comandata da un’alleanza di Paesi occidentali aveva defenestrato il dittatore Gheddafi. Non c’è l’Eritrea, da cui vengono molte delle migliaia di profughi oggi assiepati sulle coste libiche e abbandonati nelle mani delle tribù e delle loro milizie. Mancherà anche la seconda nazione più popolosa del mondo, l’India. Il caso Marò è all’origine della defezione, anche se Nuova Delhi ha voluto rientrare dalla finestra, e sarà presente all’interno del Padiglione Basmati, progettato dall'indiana Amity University. Più della politica infatti in questo caso ha potuto il mercato: con un’Expo dedicato al cibo i produttori indiani di riso hanno imposto la presenza del Paese, seppure sotto camuffate spoglie.

Poi ci sono gli assenti “snob”. Cioè quei Paesi che non hanno voluto essere a Expo per un malcelato senso di superiorità. Embematica in questo senso la scelta della Svezia che si è sfilata perché non ha trovato gli 11 milioni di euro previsti per il suo Padiglione. E insieme a lei diserteranno tanti Paesi del Nord Europa, come Norvegia, Finlandia, Danimarca. In questo caso siamo di fronte ad un’Europa con la pancia piena, che non vuole sporcarsi le mani con il mondo. Meglio che stia a casa...

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