Il figlio piccolo deve fare la pipì La barista dice no. Chi ha ragione?
Sui social legati a Curno, in questi giorni, è stato molto dibattuto un post (poi cancellato) nel quale una mamma segnalava che un esercente di un locale pubblico del paese le aveva negato di poter usufruire del suo bagno per il bisogni del figlio di tre anni. «Stiamo mangiando un gelato in piazza, al mio bambino scappa la pipì e non riesce a tenerla. Entro nel bar e la signora mi saluta sorridente. Io, altrettanto sorridente, chiedo se posso usare il bagno e lei mi risponde che il suo non è un bagno pubblico».
Ora, il tema dell’uso dei bagni di locali pubblici è stato oggetto di una grossa polemica alcuni mesi fa, quando in Città Alta alcune turiste si erano ritrovate a dover pagare due euro, con tanto di ricevuta fiscale, per aver usufruito dei servizi di un ristorante.
Partiamo dal presupposto che la legge stabilisce che ogni locale pubblico debba avere un bagno a disposizione dei clienti. Non c’è invece alcuna legge che obbliga il gestore dell’esercizio pubblico (in questo caso un bar, ma potrebbe essere anche un negozio) a metterlo a disposizione dei clienti in maniera gratuita. Insomma, il “bisognino”, in un modo o in un altro, bisogna pagarlo. A meno di non trovarsi di fronte a un esercente particolarmente comprensivo e disponibile: se la gentilezza paga, magari il cliente apprezza il gesto e, risolta l’emergenza, si ferma anche per un caffè. Ma il proprietario di un bar è tenuto soltanto ad avere un bagno. A norma e funzionante. Altrimenti è passibile di sanzioni. L’importante, dunque, è...»