La Francia chiama alle armi contro il terrorismo in Libia
«Dobbiamo intervenire in Libia»: per la seconda volta in tre anni la Francia chiede un’azione militare nel Paese nordafricano. Nel 2011 lo scopo era quello di combattere Gheddafi, oggi quello di arginare l’espansione del terrorismo islamico.
Il ministro della Difesa francese, Jean Yves Le Drian, in un’intervista riportata in prima pagina sul quotidiano Le Figaro, è preoccupato per il deterioramento della sicurezza nel sud della Libia, che diventa un punto di snodo per i gruppi terroristici. La minaccia che i gruppi jihadisti assumano il controllo di quelle zone, secondo il ministro, è concreta, così come il fatto che possano prendere possesso nel nord dei centri del potere economico e politico. Per quanto la Francia possa intervenire militarmente, «non può agire da sola in questa operazione», aggiunge. La Libia è la porta sull’Europa e sul Sahara, dunque di vitale e strategica importanza. Le Drian teme che ci siano legami tra i differenti “califfati”, dallo Stato Islamico in Iraq e Siria alla Libia, dal Sahel alla Nigeria.
[Coalizione contro la Libia nel 2011]
L'ultimo attacco francese in Libia. Quella della Francia ha tutto il sapore di una nuova chiamata alla guerra contro la Libia a tre anni dall’intervento disastroso che ha dato inizio a una nuova guerra civile nel Paese determinandone la totale implosione. Dopo la caduta di Gheddafi, infatti, la Francia non ha saputo guidare la Libia verso una matura libertà che tenesse conto delle pluralità etniche e sociali presenti sul territorio. Oggi, truppe francesi di stanza in Africa e reparti della Legione Straniera si starebbero già preparando ad un intervento militare, gestito in accordo con ciò che rimane del governo libico, sloggiato da Tripoli a Tobruk.
L'intervento armato in Mali. Per dimostrare la validità della sua tesi, Le Drian porta l’esempio del successo ottenuto dalla Francia per arginare l’estremismo jihadista e avviare un processo politico democratico in Mali, dove la Francia è presente dal 2013. Dapprima con l’operazione Serval, e poi con una missione di più ampio raggio chiamata Barkhane, entrambe condotte con l’obiettivo di combattere i terroristi che si sono insediati e hanno prosperato nel Sahel, soprattutto a seguito della guerra in Libia del 2011. Lo scorso agosto il Presidente degli USA Barack Obama ha deciso lo stanziamento di 10 milioni di dollari per il sostegno delle operazioni militari francesi in Mali.
La richiesta di sostegno internazionale. Le intenzioni di Le Drian oggi sarebbero quelle di estendere la missione Barkhane fino ai confini libici: «L’Operazione Barkhane è il baluardo dell'Europa contro il jihadismo del Sahel» sostiene Le Drian «e deve unire tutti gli Stati della regione al fine di garantire una difesa e un sicurezza comune». Qualche settimana fa, anche il presidente francese Francois Hollande aveva chiesto all'ONU «un sostegno eccezionale alle autorità libiche» per ristabilire l'ordine nel Paese. «Se non facciamo niente di serio, niente di politico, niente di internazionale, il terrorismo si diffonderà in tutta la regione», aveva detto.
La situazione in Libia, intanto, è sempre più caotica. Arrivano poche notizie e molto confuse. Il segretario generale della Lega Araba, Nabil al Arabi, ha chiesto «un intervento urgente» per arrestare il deterioramento delle circostanze politiche e di sicurezza nel Paese. La Lega Araba ha anche chiesto lo stop alle forniture di armi da parte di Paesi stranieri alle milizie "illegittime" che si stanno combattendo in Libia e fa appello all'avvio del dialogo nazionale e alla rinuncia alla violenza. Di fatto in Libia oggi ci sono due governi. Su richiesta delle milizie filo-islamiche, nonostante l’insediamento del nuovo parlamento, il “vecchio” Congresso generale nazionale a maggioranza islamista ha deciso di riunirsi a Tripoli perché si autodefinisce unico rappresentante legittimo del popolo libico. Intanto, gli estremisti islamici di Ansar al Sharia, che gli Stati Uniti e l'Unione europea hanno definito “organizzazione terroristica”, hanno proclamato Bengasi “emirato islamico”. Un vuoto di potere che rischia di creare sulle sponde del Mediterraneo uno scenario iracheno.