Contro quelli che davanti ai disastri rilasciano una dichiarazione

È facile immaginare la scena. Un disastro di dimensioni apocalittiche. I resti di due treni che si sono scontrati frontalmente a 100 all’ora. Carrozze finite in verticale come schegge tragiche puntate verso il cielo. Lamiere contorte. Vetri dappertutto. Frammenti di carrozze disseminati per centinaia di metri tra gli ulivi. Porte che l’urto ha reso impenetrabili. Odore di ferro surriscaldato. E poi l’aspetto umanamente più tragico e doloroso. I corpi: quelli per cui non c’è più speranza, e quelli per i quali invece c’è da fare una corsa contro il tempo. Corpi feriti, sanguinanti; volti contratti da una paura che sembra non poter più passare. Le parole sono poverissime, rispetto a quello che le decine e decine di soccorritori hanno dovuto affrontare in queste sul binario unico tra Andria e Corato.
Di fronte a tutto questo che cosa può fare chi non è direttamente coinvolto nei soccorsi? La gente normale prende e si mette in coda ai centri trasfusionali per donare il sangue di cui c’è grande bisogno. Vanno in tanti, quasi troppi. Vanno in silenzio seguendo le indicazioni di chi organizza la raccolta. C’è chi va a pregare, secondo una consuetudine antica: perché la preghiera è uno strumento che Dio ha dato all’uomo per superare le curve più aspre della vita. E si prega timidamente, in silenzio.
C’è poi un’altra tipologia di persone, che sulle scene dei disastri non manca mai: sono quelli che si sentono in dovere di “rilasciare una dichiarazione”. È un rito che si ripete sempre. Anche se a ben vedere quelle dichiarazioni non aggiungono nulla, non chiariscono, non portano aiuto concreto a chi sta lavorando su quel fronte che sembra un fronte di guerra. Ci sono le massime autorità dello Stato: queste vanno bene. Perché far sentire la solidarietà autorevole (e l’impegno alla chiarezza) da parte di chi dal punto di vista simbolico rappresenta il Paese è un fatto importante. Ma una volta che hanno parlato presidente della Repubblica, primo ministro e, se proprio c’è da aggiungere qualcosa di importante da dire, il ministro a cui fanno capo i trasporti (ma già costui dovrebbe essere più impegnato a capire cosa è successo che non ad esprimere il proprio dolore: quello lo diamo per assodato…); una volta che hanno parlato questi dovrebbe essere d’obbligo un coprifuoco: divieto di dichiarazione per chiunque altro.
Invece ogni volta si scatena il profluvio del virgolettato che cerca di far breccia sulle agenzie e magari di approdare sulle pagine dei giornali o in qualche pastone dei telegiornali di Stato. E non è un vizio che riguarda solo i politici. Per stare a ieri, era proprio necessario sapere il punto di vista di Laura Boldrini, dopo che il suo numero uno (Mattarella) aveva già autorevolmente detto la sua? E la stessa cosa vale per Maria Elena Boschi, che oltretutto ha parlato standosene a Bruxelles, dopo che anche il suo numero uno, Matteo Renzi, aveva parlato direttamente dal luogo della tragedia, oltretutto citando biblicamente l’Ecclesiaste? E il vizio non è solo dei politici. Ad esempio un altro sfegatato delle dichiarazioni è Roberto Saviano, che non perde mai occasioni di dire la sua, appena c’è un battito d’ali al di sotto di Roma. Ieri ad esempio ha voluto ribadire quanto sia complicato muoversi al Sud. Meno male che c’è lui a ricordarlo alla nazione…
Ci vorrebbe un minimo senso del pudore, per capire che in certe circostanze è più educato tacere. Ci vorrebbe una sorta di armistizio, di patto del silenzio. Per favore, chiudete quei microfoni.