Fusione Sea-Sacbo, tutto tace E doveva essere il gran giorno

Il 31 ottobre avrebbe dovuto essere il giorno X, invece non è accaduto nulla. Sea e Sacbo sono ancora distanti dall’accordo per la nascita di uno dei più grandi poli aeroportuali europei. A 11 mesi dalla lettera d’intenti delle due società circa la volontà di “unire” gli scali di Linate, Malpensa e Orio al Serio, si è ancora in fase di stallo.
Una fusione delicatissima. Che fosse una trattativa complessa lo si sapeva. Nonostante le buone intenzioni delle parti in causa, gli interessi in gioco sono molto delicati. Questione di pesi e di poteri. Sea, infatti, è azionista al 31,98 percento di Sacbo e il Comune di Milano, a sua volta, detiene il 55 percento di Sea. Il rischio che il capoluogo lombardo prenda il controllo dello scalo bergamasco in seguito all’accordo è alto, e Bergamo vorrebbe evitarlo. Per questo, a giugno 2015, era stato chiesto a Stefano Paleari, ex rettore dell’Università di Bergamo e direttore scientifico dell'ICCSAI (International Center for Competitiveness Studies in the Aviation Industry), di mettere a punto un piano di unione delle due società che tenesse conto di tutti gli equilibri.
Il progetto di Paleari. Paleari presentò il suo progetto tre mesi dopo. Un piano articolato per la creazione di una newco da quotare in Borsa e nella quale Milano avrebbe detenuto circa il 65 percento delle quote mentre Bergamo il restante 35. Una formula che dava sufficienti garanzie all'azionariato bergamasco. E su cui sia Miro Radici, presidente di Sacbo, che Pietro Modiano, numero uno di Sea, avevano trovato un’intesa di massima. Poi, però, Giuliano Pisapia, sindaco uscente di Milano, aveva preferito bloccare il tutto in attesa della nomina del suo successore. Questione di correttezza. Da lì la decisione di rinnovare la lettera d’intenti (in scadenza al 30 giugno 2016) fino alla fine di ottobre. La nomina di Giuseppe Sala a Palazzo Marino, comunque, non preoccupava: l’ex commissario unico di Expo aveva più volte sottolineato come fosse favorevole al matrimonio.
Foto di Davide Carminati.
Il dietrofront di Milano. Eppure, una volta eletto, la trattativa ha avuto un inatteso stop. Il primo cittadino ha dato mandato a Roberto Tasca, assessore al Bilancio del Comune di Milano, di valutare l’accordo che Modiano aveva stretto con Radici. E, a quanto pare, Tasca l’ha trovato eccessivamente favorevole per Bergamo. In particolare, Palazzo Marino non avrebbe nessuna intenzione di creare una newco e di quotarla in Borsa. Una classica fusione sarebbe la strada migliore, fanno sapere. Peccato che così gli equilibri cambierebbero drasticamente, perché il capoluogo lombardo deterrebbe circa l’80 percento del nuovo ente, mentre a Bergamo resterebbe il 20, quota che la priverebbe di qualsiasi potere decisionale.
L'azionariato di Sacbo. Con Modiano messo da parte dall’azionariato milanese (ovvero dal Comune), anche Radici, che ha più volte sottolineato come l’affare andasse fatto «a patto che Bergamo mantenesse un ruolo centrale», ha preferito defilarsi, lasciando che a condurre il dialogo fosse l’azionariato orobico, così composto: Ubi Banca 17,9 per cento, Comune di Bergamo 13,8, Camera di Commercio 13,2, Provincia di Bergamo 13,2, Creberg 6,9, Italcementi 3,2, Confindustria 0,59, Aeroclub Taramelli 0,01. Oggi il tema vero sta proprio qui, ovvero nella composizione dell’azionariato di Sacbo. Sebbene tutti, almeno a parole, desidererebbero mantenere un certo peso decisionale nelle strategie future di Orio, c’è chi invece ha pensato che l’accordo con Milano fosse una strada da imboccare in fretta.
Gori e Moltrasio, ma soprattutto Gori. E non è un caso che, nei mesi estivi, sia stato proprio il sindaco Giorgio Gori a premere sull’acceleratore affinché la scadenza del 31 ottobre venisse rispettata. Il primo cittadino era il sostenitore più convinto dell’accordo, ma gli ultimi incontri con Sala e Tasca pare abbiano spiazzato un po' anche lui. L'ipotesi della newco, infatti, era sì un accordo commerciale, ma anche politico. Palazzo Marino, con la sua nuova proposta, ha rimescolato le carte, portando a un netto raffreddamento della trattativa. In questa situazione un ruolo importante l'ha giocato Andrea Moltrasio: il presidente del Consiglio di sorveglianza Ubi ha accompagnato Gori negli incontri con le controparti meneghine, ma dopo aver sentito le posizioni di queste ultime è stato il primo a manifestare dei dubbi.
Molto del futuro di questo accordo dipenderà comunque dal Comune, che al momento è l'azionista più forte: Ubi ha i suoi problemi, la Provincia fatica a trovare fondi anche solo per riasfaltare le strade, Creberg praticamente non esiste più. E sebbene il numero uno di via Tasso, Matteo Rossi, e i parlamentari del Pd siano dell'opinione che il matrimonio s'ha da fare soltanto a condizione che Bergamo venga salvaguardata, questa debolezza di fondo dell’azionariato bergamasco di Sacbo rischia di giocare tutta a favore di Milano.
Sacbo non ha fretta. Eppure Sacbo non avrebbe alcuna fretta di chiudere. La società va bene, come dimostrano gli oltre 12 milioni di euro di utile netto del 2015 e i circa 15 stimati per l’anno in corso. Ad aver veramente bisogno dell’accordo potrebbe essere Milano, mentre Bergamo può tranquillamente aspettare che si sblocchi la situazione dello scalo di Montichiari, da sempre prima scelta. Per la nostra città, un accordo 80-20 con Sea vorrebbe dire perdere il controllo dell’aeroporto, cioè del 9 percento del Pil provinciale. E Bergamo non se lo può permettere.