Il padre: «Sono fiero di lui»

Il giornalista italiano morto a Gaza 

Il giornalista italiano morto a Gaza 
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Morire a 35 anni per raccontare al mondo la guerra. È questa la tragica fine di Simone Camilli, il giornalista italiano che ha perso la vita a Gaza a causa della deflagrazione di una bomba. Simone era figlio d’arte: suo padre Pier Luigi, oggi sindaco di Pitigliano in provincia di Grosseto, è un ex giornalista Rai, direttore delle testate giornalistiche della Scuola di giornalismo Suor Orsola Benincasa di Napoli oltre che ex conduttore del Tg1 ed ex vicedirettore vicario del Tgr Rai. Mercoledì mattina, in quello che avrebbe dovuto essere il suo ultimo giorno a Gaza prima di rientrare in Italia per le vacanze, Camilli è rimasto ucciso mentre filmava il disinnesco di una bomba sganciata da un F-16 israeliano a Beit Lahya, nel nord della Striscia. Insieme a lui hanno perso la vita altre quattro persone: Tayssir al-Hum, responsabile dell'unità speciale per la neutralizzazione degli ordigni; il suo vice Hazem Abu Murad, il loro assistente Billal Sultan e il giornalista palestinese Ali Abu Afash.

 

Il suo documentario, About Gaza

 

Esperto di Medioriente. Simone Camilli era un freelance esperto di Medio Oriente e di fatti di guerra. Una vocazione, la sua, come quella di molti altri colleghi che scelgono di mettere a repentaglio la propria vita per informare ed essere in prima linea nelle zone calde del mondo. Le sue corrispondenze dai fronti insanguinati arrivavano ogni giorno sui desk della principali agenzie di stampa internazionali, tra cui l’Associated Press, per la quale stava realizzando il filmato quando è rimasto ucciso. Si deve anche a lui, al suo lavoro e alla sua sensibilità, se il mondo vede una minima parte di quanto succede in guerra.

Camilli iniziò a 26 anni a prendere sul serio il lavoro del reporter e seguì gli ultimi momenti di vita di Papa Giovanni Paolo II e l’elezione di Benedetto XVI. Ma il Medio Oriente lo chiamava. Prima in Libano, poi in Palestina e a Gaza in particolare, per capire e far capire il conflitto interno tra Fatah e Hamas, l’"Operazione Piombo Fuso", il rilascio del caporale Shalit, la drammatica vicenda della Freedom Flottilla, la guerra del 2012 e quella in corso dalla metà di luglio. Giornalista di razza, esperto di guerra. In Turchia ha filmato gli scontri tra l’esercito e i guerriglieri curdi del Pkk. E poi i Balcani, con il Kosovo, l’arresto di Ratko Mladic, per arrivare fino alle vicende delle ultime settimane in Iraq. A luglio era in prima linea con i pashmerga curdi a documentare la loro battaglia di difesa contro l’avanzata dei miliziani dell’Isis. Ma Gaza era nel suo cuore: aveva scelto di viverci e nel 2011 insieme al regista Pietro Bellorini realizzò il documentario “About Gaza”. In 21 minuti ha voluto raccontare al mondo la vita nella Striscia e la quotidianità dei suoi abitanti.

Il padre. Appena saputa la tragica notizia, il padre Pier Luigi ha deciso di partire per Gaza. «Partiamo stasera e domani ce lo riportiamo a casa», ha detto aggiungendo di essere «fiero» di suo figlio. «Aveva questo lavoro nel sangue. Simone - ricorda ancora il papà - era un giovane giornalista, uno dei tanti che va fuori per lavorare ma non è uno di quelli che è stato costretto, lui ha scelto di fare questo mestiere: con l’AP ha avuto questa occasione e lo faceva volentieri, con grande passione».

A Pitigliano, definita anche la “piccola Gerusalemme” per via della sua sua storia nel segno dell'integrazione tra cristiani ed ebrei, la città è in lutto. La comunità ebraica locale, in segno di rispetto, ha chiuso la Sinagoga e interdetto l'ingresso ai turisti. Anche il ministro degli Esteri, Federica Mogherini, ha espresso il suo cordoglio. «La morte di Simone Camilli è una tragedia, per la famiglia e per il nostro Paese». Le ha fatto eco il segretario della Fnsi, il sindacato unico dei giornalisti, Franco Siddi: «È caduto un testimone di verità. La vicenda ci porta indietro di almeno 12 anni, quando a Ramallah cadde Alfredo Ciriello, fotoreporter ucciso da una granata».

Simone Camilli è il 33° giornalista dell’Ap a morire svolgendo il suo lavoro da quando l’agenzia è stata fondata nel 1846, il secondo quest’anno dopo la morte della fotografa Anja Niedringhaus  uccisa il 4 aprile in Afghanistan. Lascia la moglie e due figli, la più piccola dei quali è una bambina nata da poco.

 

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