L'intervista

Goldin: «Una mostra a Bergamo? Non dico di no, città interessante»

Goldin: «Una mostra a Bergamo? Non dico di no, città interessante»
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È dal 2005 che porta con successo sul palcoscenico racconti-spettacolo realizzati per introdurre, in modo fortemente legato all’emozione, le sue grandi mostre. Prima che “storytelling” diventasse un termine comune, prima che Sgarbi e altri critici iniziassero a raccontare l’arte a teatro con uno show, prima di tutti c’era e c’è Marco Goldin, trevigiano, classe ’61, curatore di mostre sempre ai vertici delle classifiche tra quelle più frequentate in Italia e nel mondo, e che negli ultimi vent’anni hanno attirato oltre undici milioni di visitatori. Ultimo caso quella dedicata a Van Gogh, nella splendida cornice della Basilica Palladiana di Vicenza, che ha sfiorato il mezzo milione di ingressi. Un’autorità in tema di impressionismo in Italia, capace di raccontare l’arte attraverso poesia, emozione e conoscenza. Sa coinvolgere anche chi con i quadri non ha troppa dimestichezza. Per la prima volta, con “La grande storia dell’impressionismo”, in programmazione nei teatri italiani dal 19 novembre scorso, Goldin ha creato un racconto svincolato dall’introduzione a una mostra, e invece pensato in modo specifico per il palcoscenico. Con la collaborazione di Remo Anzovino, uno dei principali esponenti della scena musicale contemporanea, e con l’ulteriore, preziosa collaborazione di Fabio Massimo Iaquone e Luca Attilii, due tra i principali video maker italiani. Giovedì questo “showtelling” è al Creberg Teatro di Bergamo.

 

 

Da dove parte il racconto?

«Dagli anni sessanta dell’Ottocento. Fatti, personaggi, quadri, luoghi e soprattutto l’elogio della natura. Attraverso paesaggi che la scenografia video - affidata ai ledwall in mezzo ai quali racconterò, come se mi trovassi in una grande scatola colorata - rilancerà di continuo con immagini straordinarie che sono state appositamente girate in Provenza, sulla costa del mar Mediterraneo, nella foresta di Fontainebleau, sulle spiagge di Normandia, sulle scogliere a picco sul mare del Nord e in Bretagna».

Lei è riuscito a fare cose uniche, a livello espositivo. Qual è il segreto?

«La qualità delle opere, innanzitutto. Per averle, bisogna prima innamorarsene. E poi scomodarsi, viaggiare, trattare personalmente coi collezionisti e i direttori di musei. Un progetto che cominciai ad accarezzare nel 1983, quando, a 24 anni, dopo un viaggio in autostop arrivai al Grand Palais di Parigi e vidi da vicino il mio primo Monet. Lì è iniziato il mio amore per l’impressionismo».

Ha sospeso le attività di Linea d’Ombra dallo scorso giugno.

«Mi ero imposto uno stop per scrivere il mio primo romanzo, uscito il 15 novembre, “I colori delle stelle”, sull’amicizia tra Van Gogh e Gauguin. E per portare in tournée questo spettacolo. Riprenderò l’attività espositiva con due progetti che vedranno la luce entro la fine del 2019. Non posso anticipare niente, neppure le città che li ospiteranno».

 

 

Bergamo, con Accademia e Carrara, potrebbe essere un terreno fertile per una delle sue grandi mostre? Se le chiedessero un consiglio, che direbbe?

«Bergamo è una città interessante, ha delle collezioni molto belle. La strada di organizzare mostre che partano dai pezzi forti della pinacoteca, come quelle su Raffaello e Botticelli, mi sembra quella giusta. Poi, naturalmente, si può far dialogare l’arte antica con quella moderna».

Per fare grandi numeri, però, servono grandi risorse finanziarie. E magari una realtà che ha dimostrato di muoversi a certo livelli. Come Linea d’Ombra, appunto.

«Non è detto che ci sia bisogno di rivolgersi per forza a una società privata. Se una città come Bergamo avesse delle capacità simili all’interno dell’Amministrazione potrebbe farlo. Certo, il privato può contare su una maggiore agilità di manovra rispetto al pubblico, ha una diversa attitudine. O ancora, i due mondi possono sempre collaborare: basta sedersi attorno a un tavolo, le convergenze si trovano. Se il futuro sindaco, sia Giorgio Gori o il suo avversario, vorrà una consulenza su un possibile progetto espositivo, non mi tirerò indietro».

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