Il Paese alleato degli Usa

La “Grande Muraglia” saudita

La “Grande Muraglia” saudita
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Quasi mille chilometri, 600 miglia. È questa la lunghezza del muro che l’Arabia Saudita sta costruendo per fermare l’Isis. E lo sta costruendo al confine con l’Iraq, a nord est della capitale del regno saudita Ryad. Partirà dalla citta di Turafi, vicino al confine giordano, e arriverà a Hafar alBatin, nei pressi della frontiera kuwaitiana. Il quotidiano Telegraph l’ha definita “la grande muraglia” saudita.

A onor del vero il progetto era nell’agenda di re Abdallah e del suo staff di governo già da alcuni anni, dal 2006 per la precisione, per proteggersi dall’instabilità irachena in uno dei momenti più violenti della guerra civile in Iraq. Il precipitare negli ultimi mesi della situazione nella regione, con l’autoproclamazione da parte di alBaghdadi del califfato islamico e l’ascesa della violenza, ha fatto sì che i lavori partissero a settembre e che ora procedano a pieno regime. L’Arabia Saudita, grande amica degli Stati Uniti, è il primo paese che ha aderito alla coalizione per combattere l’Isis. Ma allo stesso tempo nel regno c’è una concezione wahabita dell’islam, che condivide con l’Isis i principi di estremismo e fondamentalismo. Oggi i radicali jihadisti accusano i sauditi di aver tradito l'islam in nome della corruzione e della collaborazione con l'Occidente.

 

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Come sarà la “muraglia”. Nella migliore tradizione dei muri che sono stati costruiti da quelle parti per separare popoli e nazioni, anche il muro di Ryad sarà costituito da una doppia recinzione e prevede torrette e soldati. Il progetto prevede che la muraglia sia dotata di sistemi di sorveglianza a raggi infrarossi e fibre ottiche, di 78 torrette armate di mitragliatrici e artiglieria leggera e di radar in grado di individuare la presenza di persone fino a 12 miglia e di veicoli fino a 24 miglia. Affiancata da un canale, sarà presidiata stabilmente da soldati sparsi in otto posti di comando dotati di sale per gli interrogatori. Ci saranno 10 mezzi di sorveglianza mobile e 32 centri di intervento rapido composti da tre brigate da utilizzare alla bisogna, affiancate da circa 30 mila militari pronti a intervenire e dislocati a poca distanza dalla maxibarriera. I primi giorni di gennaio proprio nella zona in cui si sta costruendo il muro, un attentato suicida di cui non è stata rivendicata la paternità, ma che sembra essere opera dell’Isis, ha ucciso due agenti di confine sauditi.

 

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Muro come strumento di supremazia nell’area? C’è chi vede, però, nella costruzione del muro, anche un desiderio di supremazia e di potere nell'area da parte dei sauditi. Il muro, data la vastità geografica del paese, diventerà di fatto una protezione dalle infiltrazioni anche a beneficio delle altre petromonarchie del Golfo. Come se la dinastia Saud dicesse ai suoi vicini: io vi proteggo, ma voi mi lasciate la supremazia nella regione. Cosa non da poco visto anche l’andamento del petrolio di questi tempi e visto il fatto che l’Arabia Saudita è il maggior produttore di greggio dell’Opec.

L’altro muro, a sud. Questa nuova “grande muraglia” va ad aggiungersi all’altro muro che i sauditi hanno costruito a sud, al confine sud ovest con lo Yemen nel 2013. È lungo 1800 chilometri, parte dal Mar Rosso e arriva fino al confine con l’Oman e, almeno nelle intenzioni, protegge dalle infiltrazioni di militanti di gruppi terroristici, tra cui quelli di Al Qaeda della Penisola Arabica (AQAP), il gruppo che ha rivendicato gli attentati di Parigi la cui cellula principale è a Sana’a, e dallo smercio di droghe, hashish in primis, provenienti dallo Yemen, paese dal 2012 infestato da una guerra civile che contrappone il nord al sud, e da sempre è caratterizzato da lotte tribali, violenza, estrema povertà, corruzione diffusa, con il più alto tasso di armi per persona. Lo Yemen è considerato un paese terrorista e per questo l’Arabia Saudita ha deciso di proteggersi da un rischio di “infezione”.

Il parere dell’esperto. Intervistato dalla Radio Vaticana, Gabriele Iacovino, del Centro Studi Internazionali, spiega che per la leadership saudita la costruzione di muri è uno dei possibili mezzi per proteggere la propria sicurezza ed «è un leitmotiv, anche perché il territorio saudita è molto difficile da controllare, essendo per la stragrande maggioranza desertico e quindi con pochissimi punti di riferimento», oltre a essere «l’esempio di una certa “mentalità politica” di una leadership che di fatto, di per sé, già in partenza non è molto aperta verso l’esterno».

Nel 2013 la minaccia arrivava da Sud Ovest. Oggi la storia si ripete e il rischio arriva da Nord Est. Almeno secondo i Saud. In mezzo, i due più grandi luoghi santi per l’islam sunnita, le città di La Mecca e Medina, che gli jihadisti dell'Isis vogliono liberare da qualsiasi influenza occidentale. E che di questo passo sarà sempre più difficile raggiungere. Per tutti.

 

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