Grazie mille France'

È dura, vero France'? Perché tu mica sei fatto per questo, per dire basta. Mica sei fatto per chiudere la porta e salutare. Tu, le porte, le accarezzavi col cucchiaio e le spaccavi con le conclusioni al volo. Già, bisogna usare il passato. Domenica, in un Olimpico pieno come non mai e grondante di lacrime, hai detto basta. Anche se non sei fatto per questo.
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Sono stati spesi fiumi di inchiostro per raccontare quei toccanti momenti, il prima e il durante. Del dopo, invece, non sai bene neppure tu che ne sarà. «Adesso ho paura», hai detto. «Concedetemi di aver paura», hai ripetuto. Lo hai chiesto per favore, perché sai bene che i supereroi, di solito, mica hanno paura. Tu, per tanta gente, sei stato un Batman di borgata: la domenica indossavi mascherina e mantello e volavi per l'Italia a regalare emozioni e sconfiggere difese. Pennellate di arte calcistica allo stato puro. In realtà, però, non ti sei mai sentito tanto speciale, sebbene ti bastasse un pallone per diventarlo.
E noi? Cosa resta ora a noi? Semplicemente l'ennesima, ineluttabile conferma che il tempo scorre anche quando vorremmo non accadesse mai. «Maledetto tempo, che hai deciso per me», hai detto. Già, maledetto tempo. Chi ha la mia età (27 anni) e chi è venuto dopo di me, ha visto solo Totti. Non c'è un prima e un dopo. C'è Totti e basta. C'era, anzi. Una presenza fissa, che per chi ama il pallone, quello fatto di corsa, gol, estro, genialità, illuminazione, impegno, dedizione, non poteva che essere una presenza conciliante ed entusiasmante allo stesso tempo.
Qui non c'entra cosa si pensi di Totti. Tanto, per chi era un campione resterà un campione, per chi era uno sbruffone resterà uno sbruffone. C'entra, piuttosto, riconoscere la fine di un'èra. Con lui, infatti, lascia anche l'ultimo calciatore degno di essere definito "fantasista". Un termine meraviglioso nella sua potenza evocativa, che al solo pronunciarlo permette di disegnare stupendi acquerelli calcistici immaginari, disegnati con pennellate come quelle che hanno dato vita al murales del rione Monti di Roma: è Totti che esulta, dito indice della mano destra al cielo, occhi rivolti oltre le nuvole. Esulta dopo un gol, uno di quelli che regalò lo scudetto alla Roma, la sua Roma. Perché Totti è anche questo, se non soprattutto questo: figlio di Roma, il Pupone. Totti, come recitava ieri la Sud, "È la Roma". E come si può, allora, lasciare qualcosa di cui tu sei intrinsecamente parte? Non si può, ma lo si deve fare a un certo punto.
Hai ragione France', è dura. È dura dire basta, è dura ammettere a se stessi che si è cresciuti. È dura affrontare quel buio che ti si presenza davanti. Certo, tu sei fortunato rispetto a tanti di noi. Ma alla fine non è poi così diversa, la situazione. Il futuro fa paura a tutti. È come quando finisci l'università e ti trovi davanti all'ineluttabile destino, fatto di un lavoro da trovare, un cartellino da timbrare, un mutuo da pagare. Per te è più facile, chiaro. Eppure non posso fare a meno di capirti. Di capire perché, mentre leggevi quella lettera, ogni tanto ti mettevi a giochiacchiare con Isabel, la tua figlia più piccola. Prendevi tempo, tentavi di allungare all'infinito un istante combattendo le leggi della fisica con la sola forza di volontà. Ma no, non si può fare France'. Crescere fa schifo, ma tocca a tutti quanti. E con il tuo addio, mannaggia a te e mannaggia al tempo, ce lo hai ricordato. Che prima, almeno, c'eri tu.
Ma nonostante questo, grazie France'. Perché quando hai dato la tua fascia da capitano a Mattia Almaviva, il capitano dei Pulcini della Roma, ci hai ricordato che la storia continua, come la vita. Lo stesso hai fatto quando hai detto no al ritiro della tua 10: «La maglia numero 10 è il motivo per cui ogni bambino comincia a giocare a calcio. Tutti hanno il diritto di sognarla». Quindi grazie France'. E vedrai che la paura passa. È passata a tutti, prima o dopo.