Il “contabile di Auschwitz”

Gröning, l'ultimo soldato delle SS condannato in un tribunale tedesco

Gröning, l'ultimo soldato delle SS condannato in un tribunale tedesco
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Un altro - forse l’ultimo delle SS - condannato da un tribunale tedesco. Si tratta dell’ex sergente Oskar Gröning, 94 anni il 10 giugno scorso, noto come il “contabile di Auschwitz”. La corte di Lüneburg, città anseatica nei pressi di Amburgo, lo ha condannato a quattro anni di reclusione con l’accusa di concorso nell’omicidio di oltre 300mila persone nel Lager di Auschwitz-Birkenau. Il concorso consisteva nel fatto di essere stato il responsabile della gestione e dello smistamento dei bagagli - cioè degli averi - dei deportati che arrivavano al campo.

Gröning non ha mai negato di sapere delle camere a gas e ha riconosciuto la propria «corresponsabilità sul piano morale» (moralischen Mitschuld). Ma ha anche ribadito di non aver mai fatto del male a nessuno: il suo compito consisteva nel requisire i bagagli e nel raccogliere il denaro trovato indosso ai detenuti perché così «funzionava il Sistema Auschwitz». «Erano nemici del popolo tedesco», ha ripetuto nel corso delle udienze, e le SS ritenevano quindi «ragionevole» eliminarli.

 

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A propria difesa ha anche raccontato il caso di un collega (un camerata, come si diceva al tempo), che strappò di mano a una donna una valigia nella quale ella aveva nascosto un figlio piccolo sperando di sottrarlo alla selezione. Ottenutala, il camerata la sbatté più volte contro un camion dell’immondizia fino a che il pianto del bambino cessò. «Questo mi fermò il cuore - ha ricordato Gröning -: allora andai da quell’uomo e gli dissi “così non va proprio”». In effetti, non andava. Ma non era la sola cosa che non andasse, e di molte altre il signor Gröning pare aver mantenuto tutt’altro ricordo. Ha richiamato, per esempio, «il bel cancello in ferro battuto» con la scritta “Arbeit macht frei” e, bevendo dell’acqua dal suo tavolo d’imputato si è ricordato della vodka bevuta durante il suo lavoro in Polonia. Fuori di testa più oggi di quando era giovane. D’altronde, a 94 anni, dargliene quattro da scontare sembra più un augurio che una condanna.

Forse è per questo che il tribunale - pur superando di cinque mesi le richieste del pubblico ministero - gliene ha condonati 22 per precedenti mancanze. Non fosse mai che, da tedesco obbediente qual era e qual è rimasto, volesse rimandare la morte fino a pena conclusa. Già questo processo, a causa delle precarie condizioni di salute dell’imputato, ha subito continui rimandi. A giorni sapremo se Gröning sconterà la pena in una casa circondariale, in una di cura o nella propria. Ma se fossimo contribuenti di Scheuble faremmo ricorso per sperpero di denaro pubblico: ditegli di starsene buono a casa sua e finitela lì. Già si muove con l’andarino.

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Le cronache riportano che nel corso del processo diversi sopravvissuti hanno raccontato la propria esperienza all’interno del campo, e anche questo ricorrente corteo di racconti atroci ci trova del tutto contrari alla pratica tedesca: cos’altro potrà aggiungere a ciò che sappiamo da anni l’ennesimo vecchietto fiero del suo numerino tatuato? Per lo meno questa volta è successa una cosa bella:  l’81enne Eva Kor, riconosciuto il suo aguzzino, ha voluto abbracciarlo in segno di riconciliazione. Un gesto di perdono umano, ha precisato, che non intende cancellare le responsabilità giuridiche di Gröning. Non sia mai, il diritto!

Ma cosa c’era di giuridico, nei Lager? Solo l’obbedienza cieca dei sergenti che pensavano di poter dire “Così non va” a uno che massacrava un bambino nel modo che si è detto. Un atteggiamento, quello del giovane Gröning, da bambino per bene che, in quel contesto, suona come l’apocalissi di ogni possibile umanità. Comunque: è andata. Speriamo di non dover assistere ad altri processi a sopravvissuti a se stessi, che sono molto più difficili da affrontare - nella loro linda disumanità da tribunale - del dolore, dei volti e delle storie dei sopravvissuti alla shoah.

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