Gruppo Vitali: i 50 milioni sequestrati e l'indagine per bancarotta fraudolenta sui due fratelli
Terremoto nel mondo dell'imprenditoria: i due avrebbero spolpato la società Vita e l'avrebbero usata per fare acquisti prima del fallimento

Un ultra ottantenne (classe 1937), malato di Alzheimer, a capo - in qualità di amministratore unico - di una delle società di punta per il Gruppo Vitali e, in quel momento, in fallimento. È su questi elementi che sono nati i primi sospetti del curatore fallimentare Giorgio Dall'Olio; gli stessi che, accentuati dal fatto che quello stesso anziano sembrava già essere passato per altre Procure, hanno portato il pm Guido Schininà, l'aggiunto Maria Cristina Rota e gli uomini del Nucleo di polizia economico finanziaria della Gdf di Bergamo a definirlo un prestanome.
I blocchi alle società
In questo contesto, sono indagati per bancarotta fraudolenta i fratelli Massimo e Cristian Vitali, gli stessi delle ruspe e dei macchinari gialli che popolano numerosi cantieri privati e pubblici di Bergamo e provincia: dal nuovo capannone dell'Orobica Pesca alla linea di bus elettrici - finanziata da Pnrr - dell'e-Brt, dall'interporto di Cortenuova al data center di Arcene, da Porta Sud nel cuore del capoluogo all'autostrada Bergamo-Treviglio.
Così ieri, 29 luglio, come riportano i colleghi di PrimaMerate, i militari del comando provinciale della Guardia di finanza di Bergamo hanno dato esecuzione a un decreto di sequestro preventivo di cinquanta milioni. L'atto, emesso dalla gip Lucia Graziosi del Tribunale di Bergamo, è di tipo "impeditivo": è stato così bloccato il cinquanta per cento della Vitali Spa e il cento per cento della Expand Srl (società in pancia dal Gruppo) ed è stato nominato un amministratore giudiziario che da qui in avanti le gestirà.
I trasferimenti
Il meccanismo che ha portato all'accusa e che è ora al vaglio degli inquirenti è ricostruito nei dettagli dal Corriere Bergamo. Nel 2022, attraverso una complessa operazione di scissione, la Srl Expand avrebbe ricevuto 31 milioni e mezzo di euro, in gran parte in obbligazioni, da Vita, altra società che è stata così "spolpata" da gran parte del suo attivo. Nei milioni trasferiti ci sono però anche ottantamila euro di liquidità e la partecipazione in Autostrade Bergamasche, la società nata per la realizzazione della Bergamo-Treviglio.
Il fallimento
La Vita, rimasta con un patrimonio netto in rosso di oltre due milioni, è alla fine fallita con più di dieci milioni di passivo. Questo perché, nel mentre, i fratelli l'avrebbero sfruttata anche per fare spese. Per esempio, uno dei due avrebbe speso quasi 38 mila euro in due anni (2015-2017) per pagare vacanze, spese mediche, ristoranti, centri balneari. Altri ventimila euro sono stati bonificati a un commercialista che non avrebbe mai lavorato per la Vita. Infine, quindicimila euro sarebbero stati usati come acconto per l'acquisto di una Bmw X3M destinata a un membro del Cda di Vitali.
Contestato è anche il modo in cui è stata tenuta la contabilità, tale da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio e del movimento di affari.
«Mero equivoco processuale»
Alla luce di questa vicenda, sono quindi indagati Cristian Vitali, socio unico di Vita, ma anche il fratello maggiore Massimo, nella veste di presidente del Cda della Vitali Spa e come gestore di fatto della Vita (secondo chi indaga, avrebbe preso lui le decisioni principali).
In una nota, l'avvocato dei due, Filippo Dinacci, ha parlato di «un mero equivoco processuale che quanto prima sarà chiarito. Basti pensare che sono stati soddisfatti tutti i creditori e quindi nessun danno è stato arrecato. Circostanza, questa, verificabile documentalmente». I Vitali, in una nota, hanno invece affermato: «Prendiamo atto con sorpresa e confermiamo la nostra estraneità dalla vicenda. Siamo certi che la questione sarà risolta al più presto».