Numeri e costi

Centri di accoglienza per migranti Come funziona (e chi ci guadagna)

Centri di accoglienza per migranti Come funziona (e chi ci guadagna)
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I principali campanelli d’allarme sulla faccenda dei centri di accoglienza per i rifugiati in Italia sono stati due: la gestione dell’Emergenza Nord Africa (ENA), inaugurata con il D.P.C.M. del 12 febbraio 2011, e la sentenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, pronunciata il 4 novembre scorso.

Emergenza Nord Africa. Nel primo caso, le casse pubbliche nostrane sborsarono circa 1, 3 miliardi di euro, con cooperative, ONG e centri diocesani che ebbero diritto a 45 euro al giorno per ogni richiedente asilo, oltre 1200 euro al mese. Il 28 febbraio, con la chiusura dell’emergenza, e nonostante gli oltre 500 milioni di euro dati dall’Unione Europea dal 2008 al 2013, 13mila ospiti soggiornavano ancora nei centri, costretti a sfollare con 500 euro di buona uscita e un permesso di viaggio, fatta eccezione per i “soggetti vulnerabili” (categoria comprendente donne, malati e minori non accompagnati).

La sentenza di Strasburgo. La sentenza di Strasburgo invece riguardava la vicenda della famiglia afgana (madre, padre e 4 figli) che, sbarcata in Calabria nel luglio 2011, era fuggita senza documenti dal CARA di Bari in Austria, per poi fare domanda di asilo in Svizzera; le autorità svizzere, vincolate dal regolamento di Dublino, in vigore dal 12 dicembre 2008, avevano rispedito in Italia la famiglia, in quanto Paese di primo ingresso. La Corte di Strasburgo sottolineò l’inadeguatezza dello SPRAR italiano, Sistema di Protezione per i Richiedenti Asilo e Rifugiati, che nei primi sei mesi del 2013 aveva garantito meno di 10mila posti, a fronte di una domanda di circa 13mila persone. La sentenza denunciava seri «dubbi in merito alle capacità attuali del sistema di accoglienza italiano, tanto da non poter escludere l’ipotesi che in Italia vi possa essere un numero significativo di richiedenti asilo privi di accoglienza o accolti in strutture sovrappopolate in condizioni di promiscuità, o anche d’insalubrità o di violenza».

 

SSS

Centri governativi per richiedenti asilo (CARA-CPSA-CDA).

 

Come funziona in Italia il Sistema di Protezione per i rifugiati. In Italia lo SPRAR è costituito dalla rete degli enti locali (151 progetti territoriali, 128 Enti locali e 3000 posti di accoglienza) che «accedono, nei limiti delle risorse disponibili, al Fondo nazionale per le politiche e i servizi dell’asilo», con lo scopo di realizzare progetti di accoglienza integrata. A livello territoriale, il supporto di realtà del terzo settore permette la distribuzione di vitto e alloggio e l’accompagnamento e l’assistenza agli ospiti con percorsi individuali, con l’obiettivo di facilitare inserimento professionale. Le caratteristiche principali del Sistema di protezione, come si evince dal sito internet del Ministero dell’Interno, sono:

  • Il carattere pubblico delle risorse messe a disposizione e degli enti politicamente responsabili dell'accoglienza, Ministero dell'Interno ed enti locali, secondo una logica di governance multilivello;
  • La volontarietà degli enti locali nella partecipazione alla rete dei progetti di accoglienza;
  • Il decentramento degli interventi di "accoglienza integrata";
  • Le sinergie avviate sul territorio con i cosiddetti "enti gestori", soggetti del terzo settore che contribuiscono in maniera essenziale alla realizzazione degli interventi;
  • La promozione e lo sviluppo di reti locali, con il coinvolgimento di tutti gli attori e gli interlocutori privilegiati per la riuscita delle misure di accoglienza, protezione, integrazione in favore di richiedenti e titolari di protezione internazionale.

I centri di primo soccorso e accoglienza. L’attività dello SPRAR è svolta, nei luoghi maggiormente colpiti dal fenomeno immigrazione, da diversi tipi di centri. I CPSA (Centri di primo soccorso e accoglienza) sono allestiti nei posti soggetti agli sbarchi: i rifugiati vengono accolti, curati, fotosegnalati e successivamente smistati verso altri centri. I CDA (Centri di accoglienza) sono destinati all’accoglienza degli stranieri irregolari: la permanenza è limitata all’accertamento dell’identità del soggetto e della legittimità della sua permanenza in Italia. I CARA (Centri di accoglienza per richiedenti asilo), sono 14 e sono il luogo dove sono smistati i profughi privi di documenti, in attesa del riconoscimento e dell’assegnazione dello status di rifugiato, tempo che non dovrebbe andare oltre i 35 giorni. A questi si sono aggiunti i CAS (Centri di accoglienza straordinaria) aperti per gli adulti e per i minori non accompagnati, 11.507 dal gennaio all’ottobre 2014, che dovrebbero ospitare tali persone per 2/3 giorni.

 

2014_10_01_dati_e_statistiche_immigrazione

 

Numeri e costi dei migranti. Attualmente, nei centri di accoglienza dello SPRAR sono presenti 61.238 persone di cui 10.206 nei CARA, 32.335 nei CAS e i rimanenti 32.335 nelle altre strutture. Per ogni richiedente asilo lo stato versa 35/40 euro al giorno agli enti gestori che a loro volta dovrebbero garantire vitto, alloggio, vestiti e una somma minima per le spese extra dei rifugiati. Mentre i CARA e i CAS sono aperti dalle prefetture per lo più in aree demaniali abbandonate e vengono gestiti da privati; le altre strutture, più a norma, devono essere integrate nel territorio, avere con il quartiere circostante una relazione, garantire un percorso di scambio e d’inclusione.

Sul sito di Internazionale, il prefetto Mario Marcone spiega come attorno all’accoglienza ruotino circa 700/800 milioni di euro l’anno, 45 dei quali stanziati dal FAMI (Fondo asilo migrazione e integrazione), mentre il resto è garantito dal governo centrale. Spesso e volentieri, però, i gestori, con questi soldi, si arricchiscono. Un esempio è costituito dal CARA di Mineo di Catania, gestito da un consorzio di imprese sociali locali, che a fronte di 2.000 posti disponibili, ospita, per un periodo di tempo indeterminato (comunque superiore ai 2/3 giorni previsti), 4.000 persone, facendo fruttare tra i 70mila e i 140mila euro giornalieri. L’errore dell’Emergenza Nord Africa è stato quello di non dare alcun finanziamento per percorsi positivi d’integrazione; conseguentemente il grande passo dallo SPRAR è stato quello di aumentare i posti nelle strutture più a norma (passate dai 3 mila del 2013 agli oltre 20 mila del 2014) e di istituire un tavolo di lavoro con il Viminale, le regioni, i comuni e l’Alto Commissariato per i rifugiati delle Nazioni Unite (UNHCR).

Il grande limite davanti a cui si trova il sistema italiano è quello di vincere il pregiudizio che lo straniero risulta essere il capro espiatorio per una crisi lavorativa generale e generalizzata, scommettendo invece su quello che il prefetto Marcone ricorda: «Gli enti locali devono fare uno sforzo e capire che per loro gli SPRAR sono un’opportunità, sia perché sul medio periodo gli immigrati si rivelano una risorsa sia perché nell’immediato questi garantiscono occupazione nel territorio».

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