Sbeffeggiando gli avversari

I tre ironici spot elettorali con cui Netanyahu vuole vincere

I tre ironici spot elettorali con cui Netanyahu vuole vincere
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Benjamin Netanyahu e il suo Likud infiammano la campagna elettorale israeliana. A meno di un mese dalle urne (la data designata per decidere il capo del governo è il 17 marzo), il premier uscente e leader del partito nazionalista israeliano sta puntando forte sull’aspetto comunicativo della sua campagna elettorale, fatta di brevi spot influenti, provocatori e sarcastici. Il 3 dicembre scorso il primo ministro Netanyahu licenziò il ministro della Giustizia Tzipi Livni e quello delle finanze Yiair Lapid, entrambi esponenti del centro-sinistra, perché contrari ad una proposta di legge con la quale il premier si sarebbe ingraziato i rappresentanti dell’estrema destra (il progetto era quello di far approvare una legge che definisse il paese “Stato nazione del popolo ebraico”), causando una crisi di governo che porterà al voto gli Israeliani nel prossimo mese.

Ora l’ex-premier si trova in piena campagna elettorale a combattere primariamente contro Isaac Herzog, capo del partito laburista israeliano, ed Yair Lapid, uomo forte del partito di centro Yesh Atid, e, in secondo luogo, contro le accuse di estremismo e volontà di provocazione che gli vengono fatte dagli avversati (Livni lo ha definito come uno che mette «parti di Israele una contro l’altra»). Nel periodo pre-elettorale Netanyahu si è recato a Parigi l’11 gennaio per partecipare alla marcia contro il terrorismo islamista, seguita ai fatti di Charlie Hebdo e alla strage al supermercato francese pieno di clienti ebrei, ed è anche stato segnalato per aver sottratto, assieme alla moglie Sara, una piccola cifra del denaro pubblico (circa 4.000 shekel=885 euro) per delle spese d’ufficio di quando era primo ministro.

Ad oggi i sondaggi elettorali segnalano che il 45 percento degli israeliani non gradirebbe una conferma del premier uscente, mentre il 40 percento è a favore della continuità. Lo scontro principale sembra essere quello contro Herzog e per questo Netanyahu ha rischiato una campagna di comunicazione particolare.

I video della campagna elettorale. Lo slogan della campagna elettorale è apparentemente molto semplice e banale: Only the Linkud, only Netanyahu (Solo Likud, solo Netanyahu), ma sono i contenuti e la veste con cui il leader israeliano si muove e parla nei tre spot a suscitare interesse e polemiche da parte degli avversari. Il premier si è infatti presentato infatti non in veste di politico ma di uomo comune, paragonandosi continuamente ai suoi avversari.

 

 

Ecco allora che se una semplice famiglia israeliana volesse trascorrere una serata tranquilla senza i bambini, non dovrebbe affidarsi né a Herzog né a Livni, bensì al miglior “custode” che ci possa essere: il Bibi-sitter (gioco di parole che utilizza a suo vantaggio il soprannome di Netanyahu, Bibi). In questo caso il sarcasmo si lega a chiarissimi attacchi agli avversari: Herzog viene accusato per il suo progetto di accordarsi coi palestinesi in caso di trionfo elettorale (nello spot viene detto che «venderebbe anche le pareti»), mentre Livni è bollato per il voltafaccia fatto a dicembre, tanto da dire ironicamente che «traslocherebbe dai vicini».

 

 

Rimanendo nel campo dei bambini ecco che il leader di Likud assume i panni di un maestro d’asilo che cerca di spiegare agli scolaretti, che rappresentano i suoi avversari, che «non si può continuare con un asilo di bambini, per governare ci vuole un governo forte».

 

 

E infine l’attacco più diretto ad Herzog arriva con il terzo spot pubblicitario, nel quale Netanyahu non compare direttamente. Un manipolo di terroristi dell’ISIS chiede informazioni per sapere «in che direzione si trovi Gerusalemme»; una volta ottenute le indicazioni partono velocissimi sparando colpi verso il cielo e sventolando la bandiera islamica. Chiari riferimenti al fatto che con la vittoria di Campo sionista, il partito laburista, Israele rischierebbe di essere invasa dai terroristi musulmani («La sinistra si arrenderà al terrore»).

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