L'infermiera dell'assistenza domiciliare

«I loro medici si sono ammalati e tanti anziani muoiono in casa da soli»

«I loro medici si sono ammalati e tanti anziani muoiono in casa da soli»
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di Paolo Aresi

Romina è appena uscita da una cascina che si trova nei dintorni di Rovetta. Romina Zanotti è infermiera, da anni lavora nel campo dell’assistenza domiciliare e delle cure palliative per Itineris, gruppo di infermiere e medici che opera soprattutto in Valle Seriana. In questa mattina di pioggia riesce a sorridere. Ogni giorno deve confrontarsi soprattutto con lo tsunami del Coronavirus.

Lei ha sempre lavorato con i malati sul territorio, ha sempre affrontato casi difficili, tra la vita e la morte. Che cosa sta accadendo adesso nei paesi, in mezzo alla gente?

«È cambiato tutto, anche per noi. Esco di casa la mattina alle sei e rientro la sera, verso le undici. Non c’è più nessuna pausa, nessun riposo. Sette giorni su sette. La gente si rivolge a noi, ogni giorno decine di chiamate, perché non sa più chi a chi rivolgersi: in diversi paesi non ci sono più medici di base, sono tutti ammalati; esiste soltanto la guardia medica che però molto difficilmente può muoversi per le visite».

E allora ci siete voi del servizio domiciliare.

«Sì, perché la gente ci conosce, da anni siamo sul territorio, andiamo nelle case, abbiamo seguito tante famiglie con malati gravi. C’è per la verità quel nucleo di medici volontari chiamato Usca, ma devono venire allertati dai medici di base. E se il medico di base non c’è...».

Che cosa trova nelle case?

«Trovo la mancanza di speranza, trovo persone rassegnate. Spesso entro in famiglie dove la morte è già passata, si è portata via una, magari due persone. Ho visto tanti casi di questo tipo. Mi viene in mente quella figlia che ha avuto il papà e uno zio morti e adesso sta assistendo la madre. Penso ai tanti coniugi anziani che muoiono uno dietro l’altro, a pochi giorni di distanza».

Tutte queste persone muoiono di Covid-19. Ma non risulteranno mai tra i malati di Coronavirus.

«La stragrande parte muore per il virus, ma è vero, non rientra nelle casistiche perché non si fanno i tamponi. Ma sono tantissimi. A Nembro dall’inizio dell’anno a oggi ci sono stati 160 morti, se considera che in tempi normali in paese ci sono dieci morti al mese, vuol dire che a oggi i decessi dovrebbero essere trenta. Ce ne sono 130 in più, e questi sono quelli del Coronavirus».

Mi diceva che c’è tanta solitudine.

«Per forza. Si ammala il genitore anziano e i figli non possono intervenire perché a loro volta hanno la febbre, sono in quarantena. E allora resta il telefono, si cerca di dare una mano così. E nascono tante altre emergenze, dalla spesa, all’igiene. Tante badanti sono morte o si sono ritirate con delle amiche e vivono una loro quarantena. Tanti anziani sono rimasti soli. Era un tema delicato già prima dell’epidemia. Adesso è tragico. Ci sono anziani che restano malati e soli in casa, e soli muoiono».

E i parenti?

«E nei parenti resta il dolore, e in più il senso di colpa per non essere intervenuti. Se poi si tratta di figli, ancora di più. L’idea di avere “abbandonato” il genitore è difficile da accettare. Sugli anziani questa malattia si manifesta rapidamente, non ti dà nemmeno il tempo. Arriva e nel giro di una settimana se li porta via».

L’assistenza sociale?

«Gli assistenti sociali dei Comuni si stanno sbattendo, come tutti, sette giorni su sette, anche per loro è cambiato tutto».

Ha vissuto delle esperienze particolari?

«Sono tutte particolari, anche se si somigliano, anche se tutte hanno come denominatore comune la morte, il dolore. Ma penso alla storia di quattro sorelle ottantenni, che stavano benone, vivevano insieme, passavano le giornate cucinando, cucendo, giocando a carte e ascoltando trasmissioni su Padre Pio. Il virus ha distrutto la loro casa, ha ucciso due sorelle, una sta rischiando la vita e un’altra invece sembra stare bene. Ma succedono anche cose che ti disorientano, come una giovane mamma che è stata curata per Covid mentre invece si è scoperto che aveva un grave tumore del sangue, che con il virus non c’entra. Ha quarant’anni e tre figli ancora piccoli e l’ospedale è praticamente inaccessibile... O quei genitori magari anziani con il figlio disabile...».

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