Figli di immigrati musulmani

I ragazzi europei che partono per combattere a fianco dell'ISIS

I ragazzi europei che partono per combattere a fianco dell'ISIS
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A giugno, l’Ufficio di Polizia Europeo aveva fatto i calcoli: tra i miliziani anti-Assad in Siria ci sono circa 2300 europei. Vengono dall’Inghilterra, dalla Francia, dal Belgio, dalla Germania. Qualcuno anche dall’Italia. E hanno alle spalle storie, all’apparenza, abituali. «Più di due terzi dei miliziani dell’Isis sono di origine europea», era l’allarme che mandava al Times a maggio Abduelellah al-Basheer, leader della Free Syrian Army: «Questi terroristi, avendo testato le loro abilità nel mio paese, potrebbero tornare nei loro stati, magari in Gran Bretagna, e continuare il loro pericoloso patto di distruzione».

Tutte le storie

Lavorava in uno dei negozi di Primark, catena di grandi magazzini che popolano città e centri commerciali di mezzo Regno Unito. Poi, lo scorso ottobre il 25enne Muhammad Hamidur Rahman è sparito da Portsmouth, città del sud inglese, per volare in Siria e combattere coi ribelli contro il regime di Assad. Finito nelle file dell’Isis, il giovane è morto qualche giorno fa: a darne la notizia, nella giornata dell’11 agosto, il padre, Abdul Hannan, che ancora vive in Inghilterra e ha ricevuto un messaggio da un guerrigliero ex-compagno del figlio.
La storia di Muhammad è la stessa di tanti altri giovani musulmani che hanno lasciato l’Europa per andare a combattere in Siria. A convincerli sono i sermoni di qualche imam, i consigli dei parenti, le immagini che vedono alla televisione. Muhammad ha abbandonato la sua vita “normale” in Inghilterra così, di punto in bianco: ai suoi genitori ha detto che sarebbe andato in Siria per partecipare ad una missione umanitaria. Poco dopo la partenza aveva poi postato un messaggio su Twitter: «Chiamato da Dio ad aiutare i musulmani che vengono uccisi dal presidente Bashar al-Assad».

Una storia simile a quella delle due ragazze spagnole fermate sabato a Melilla, enclave spagnola sulla costa nord-africana: cercavano di andare in Marocco, per poi farsi portare in Iraq a combattere. Come loro, il ministero degli esteri inglesi stima che ci possano essere almeno altri 500 britannici volati in Siria: di questi si ha la certezza che ne siano morti solo 19.

A giugno, quando l’Isis proclamava il suo califfato, facevano il giro delle televisioni inglesi le facce di Nasser e Reyaad: 20 anni, erano scomparsi da Cardiff a novembre, e da tutti erano descritti come giovani tranquilli, che tifavano Chelsea e volevano andare a studiare medicina. Pure i loro genitori, musulmani moderati, ne avevano perso le tracce: solo un video su YouTube ha dato conferma ai sospetti. Kalashnikov in spalla, invitavano gli altri giovani a unirsi alla Guerra Santa.

Altro caso esemplare è quello che scosse la Germania a novembre 2013: il 26enne Burak Karan era morto in Siria. Cosa inusuale: quel ragazzo era stato un calciatore professionista dai trascorsi più che discreti, che aveva indossato addirittura la maglia della Germania Under 17 assieme a campioni come Boateng e Khedira.

Più complessa è invece la vicenda di Samra Kesinovic e Sabina Selimovic: viennesi, figlie di genitori bosniaci, sono scomparse ad aprile. Le foto che hanno postato su Facebook dicevano che anche loro erano finite a combattere Assad, partecipando al “sexual jihad”: per prendere parte alla lotta armata si fa dono del proprio corpo ai combattenti maschi.

E l’Italia?

A giugno il Ministro Alfano parlava di 30 ragazzi partiti dal nostro Paese per andare a combattere in Siria. 8 di questi avrebbero trovato la morte nel corso del conflitto. Il più famoso di questi è Giuliano Ibrahim Delnevo, genovese convertito all’Islam e morto nel 2013. Non si hanno invece notizie certe di Anas El Abboubi, ragazzo d’origine marocchina che viveva a Vobarno, nel bresciano. Un altro dalla storia eloquente: nelle sue passioni c’era la musica rap, tanto da fare il cantante col nome di Mc Khalifh e finire pure intervistato a Mtv. Poi, a giugno 2013, l’arresto con l’accusa di terrorismo, il rilascio e la fuga. «Mio figlio non è più in Italia. Non ho più notizie da mesi, forse un mesetto», diceva il padre ai giornali. Un altro dalla vita normalmente europea, cui ha preferito dire di no per andare a fare il martire di guerra.

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